Offerte silenziose

Su Popoli e Missione, un articolo sul gesto silenzioso dell’offerta, che gli Indios Ticuna in Amazzonia ripetono ogni giorno

Siamo spesso abituati ai gesti ridondanti e agli atti plateali; sono entrati così tanto nel nostro immaginario che, quando ci troviamo di fronte ad un’offerta silenziosa, qui come nel resto del mondo, ci sembra che ci sia poco materiale su cui scrivere.

Di contro, il materiale umano è tantissimo.

Nel profondo dell’Amazzonia brasiliana, un modo di fare comune degli Indios Ticuna è quello dell’offrire. Sono talmente discreti in questo che, nei primi mesi di missione, neanche frei Paolo Maria Braghini, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, se ne era accorto.

Pur essendo un missionario, all’inizio era «deluso per non aver mai sentito un “grazie”, per di più provenendo da una famiglia italiana dove mi è stato insegnato a dirlo sempre e di cuore».

A Belém do Solimões dal 2006, ha poi avuto modo di capire. Ad “aprirgli gli occhi”, la delicatezza delle donne Indios: «non c’è bisogno di dire “Moẽῧtchi”; bastano il sorriso, lo sguardo, il sollevarsi delle sopracciglia e, soprattutto, le mani tese».

Queste mani sempre rivolte all’altro, mai vuote, pronte a condividere il poco, il proprio tutto. A volte, erano frutti (banane, açaí, abacaxi, cocco, maracuja), altre ancora, farina di manioca e cibi già cucinati, molto spesso, pesci.

C’erano notti in cui i frati tornavano dai villaggi, stanchi dopo ore di canoa e bagnati dalla pioggia. «Poco più tardi, un lieve battito sulla porta di casa e, nel buio (perché l’energia elettrica è una rarità), ecco quella luce degli occhi» che rischiara. I racconti di fra’ Paolo descrivono il miracolo di «quelle mani, con una pentolina mezza rotta sollevata da un bimbo Ticuna o mamma delle vicinanze, con un “caldo de peixe” (brodo di pesce)».

Si tratta di decifrare una lingua silenziosa, come spiega dalla provincia di Assisi Andrea Lombardi (Ra.Mi – Ragazzi Missionari Onlus), per un anno missionario laico a Santo Antonio do Içá.

Ai gruppi di giovani, che dal 2003 accompagna in quei luoghi, ricorda infatti «di abbassare il tono di voce, di adeguare ritmi e volumi» perché «la rimodulazione di sé equivale all’azione francescana del “farsi piccoli”».

I Ticuna, in questo, sono maestri: «per i doni taciti, accompagnati da un sussulto, per la pulizia del gesto, che è essenziale e allineato ai flussi della Natura, senza esagerazioni, senza abbondanza».

«Di superfluo c’è poco: questo vale sia per ciò che ti offrono sia nel modo. Mani dirette verso i bisogni dell’altro».

(Loredana Brigante – Popoli e Missione, luglio-agosto 2020, p. 21 )

Fonte

  • Popoli e Missione

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