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Misericordia e… SPERANZA
Una nuova rubrica per approfondire alcune tematiche mondiali alla luce del Giubileo, declinando la parola “misericordia”
Esco dal buio della sala cinematografica e alzo lo sguardo verso le stelle di una fredda serata invernale.
Penso che L’abbaglio, il film diretto da Roberto Andò con Toni Servillo, Ficarra e Picone, sia una lettura originale e quanto mai attuale della nostra piccola storia. Una volta sbarcato in Sicilia alla testa dei famosi “Mille”, il generale Garibaldi teme che i giovani isolani non comprendano il suo tentativo militare di portare una rivoluzione nella loro vita e soprattutto in tutto il Meridione d’Italia.
Non a caso, il colonnello Orsini, interpretato da un grande Toni Servillo, nel film dice lapidario al suo attendente: «I siciliani hanno perso ogni speranza di poter cambiare il corso della storia, Ragusìn. Non credono più in nulla, nemmeno nelle illusioni che muovono il mondo e questo perché tutte le volte che hanno provato a migliorare la loro condizione, i loro tentativi sono stati soffocati nel sangue da chi li domina, l’aristocrazia più corrotta e ignorante d’Europa».
Garibaldi sa di aver bisogno di forze locali, soprattutto giovani, che si devono inserire nel suo movimento di liberazione e unificazione, altrimenti sarà una sconfitta sicura.
Oggi, con il regista Andò, possiamo affermare che le aspirazioni di chi seguì Il Generale furono quasi un “abbaglio”, una speranza vanificata dalla volontà di normalizzare qualunque scossone si presenti sullo stivale italico.
E tra i nostri giovani c’è ancora spazio per la speranza?
Lo scrittore Alessandro D’Avenia ha fatto sua una sorta di missione, ovvero ribaltare i paradigmi riguardo alla costruzione delle nuove generazioni. C’è una sua affermazione che amo molto; al ragazzo bisogna chiedere che cosa vuoi fare “di” grande e non “da” grande.
Forse abbiamo smesso, dopo millenni, di dare cura alle generazioni in formazione.
Probabilmente ne temiamo le potenzialità e ci limitiamo a mettere i bastoni tra le ruote a chi dovrebbe portare avanti il mondo dopo di noi, o meglio, sostituirci nel portare avanti il mondo. Salvo poi, riporre sulle loro povere spalle il peso grave dei disastri da noi compiuti.
Ultimamente, ho letto di come gli adolescenti vogliano nascondersi nella massa, per non affrontare sfide che sembrano loro insuperabili. Nella folla ci si sente protetti e non individuabili. Evidentemente noi adulti sappiamo stendere il dito per indicare, individuare il colpevole, non accompagnare il percorso di crescita.
Una lettura strana ma reale. La stranezza deriva anche dal fatto che i nostri giovani navighino più verso “l’io” che verso “il noi”, quindi la massa non è quella critica di fine anni Sessanta-anni Settanta del Novecento, che tanto dolore ha portato con la sua politicizzazione eccessiva. Anzi, l’ambiente digitale porta a una frattura con l’ambiente esterno, tanto che un giovane su tre, oggi, dopo le ore scolastiche non incontra fisicamente i suoi coetanei. Spesso si chiude in casa con i propri apparecchi tecnologici.
Il 3 febbraio 2025, in Ultimo banco, la rubrica che cura per il Corriere della Sera, lo stesso D’Avenia afferma che, in un incontro pubblico con studenti delle superiori, tutte le domande ricevute dai relatori presenti erano incentrate sulla paura: «Non abbiamo toccato la trepidazione di chi inaugura, esplora, rischia, ma l’angoscia di sbagliare, una morsa a due ganasce che stritola ciò che è proprio dell’adolescente: l’energia creativa. “Soldi o passione?”. Domanda che tradisce la scissione interiore di una intera cultura in cui essere e fare non si parlano. Il lavoro da traduzione dell’essere nel fare, si riduce a condanna per ottenere l’indispensabile per il successo: il denaro».
Se c’è un filo rosso che unisce idealmente i messaggi di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, va trovato nel sostegno dei nostri figli e nipoti. Infatti, anche in quello del 31 dicembre scorso si legge: «I giovani sono la grande risorsa del nostro Paese. Possiamo contare sul loro entusiasmo, sulla loro forza creativa, sulla generosità che manifestano spesso. Abbiamo il dovere di ascoltare il loro disagio, di dare risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni».
Non solo, prosegue indicando malattie del sistema che lasceremo in eredità, a meno di un cambio di direzione rapido e sicuro: «La precarietà e l’incertezza che avvertono le giovani generazioni vanno affrontate con grande impegno anche perché vi risiede una causa rilevante della crisi delle nascite che stiamo vivendo».
A mio avviso, lo spazio per la speranza c’è, è anche molto grande, ma il percorso che porta al suo sostegno è lastricato di fiducia, cura, libertà (vera, non quella di rincasare a qualsiasi ora del giorno e della notte), investimento, esempio.
Iniziamo a partire da qui, il sentiero si aprirà strada facendo.
Francesco Di Sibio
Responsabile Ufficio comunicazioni sociali
Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia
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