Misericordia e… PENA | Scommettere sulla bontà dell’essere umano

Una nuova rubrica per approfondire alcune tematiche mondiali alla luce del Giubileo, declinando la parola “misericordia”

La pesante chiave di ferro chiude dietro di noi l’ennesima porta metallica con più mandate.

La Polizia penitenziaria ci scorta verso la cappella. Pur sapendo che tra poco meno di due ore sarò di nuovo fuori, la sensazione è straniante, per nulla facile da spiegare.

È il 3 gennaio 2025 e, nella Casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, l’arcivescovo Pasquale Cascio sta per celebrare l’Eucaristia nella Chiesa giubilare, la seconda, dopo la Cattedrale. Io lo accompagno per l’occasione.

Una settimana prima, è stato Papa Francesco a varcare la soglia del carcere romano di Rebibbia per aprire la seconda Porta Santa dell’Anno Santo 2025. Era il giorno in cui si ricorda Santo Stefano, il primo martire, trucidato per lapidazione.

Il giorno dopo Natale, il santo Padre supera la Porta santa sui suoi piedi, non sulla sedia a rotelle come a San Pietro.
In molti erano perplessi sulla sua scelta.

È opinione comune intendere il carcere come mero luogo di detenzione, posto in cui vorremmo rapidamente rinchiudere coloro che hanno commesso reati più o meno gravi.

Ormai, è usuale chiedere pubblicamente pene esemplari e commentare eventi violenti, con la richiesta di rinchiudere il colpevole in cella e gettare le chiavi. Da qualche anno, fa notizia – negativa – anche rivedere in libertà un reo che ha scontato la pena.
Non c’è niente di più errato, a voler leggere la nostra Costituzione.

La Carta costituzionale italiana prevede una rieducazione del detenuto.
Chi delinque dovrebbe avere sempre la possibilità di un recupero e tornare nella società,
una volta scontata la pena, libero di vivere in pienezza la propria vita.
Ma è davvero così?

La lettera scarlatta della detenzione è molto più evidente di un tatuaggio – simbolo inequivocabile, un tempo, dell’aver pernottato in una cella –, così a migliorare la prestazione è solo la recidiva.

Nella primavera del 2024, il CNEL fa sapere che «al 31 marzo 2024, il numero di detenuti presenti negli istituti penitenziari è pari a 61.049, pressoché stabile dal 2008. Il 31% è di cittadinanza non italiana (19.108). Le donne sono solo il 4,3%. Il tasso di affollamento reale, che indica la percentuale di persone detenute in più rispetto ai posti effettivamente disponibili, è pari all’119%».
Lo studio sottolinea pure la difficoltà nel prevenire la recidiva: «6 condannati su 10 sono già stati in carcere».

La recidiva potrebbe calare con un inserimento professionale.
Anche se «in Italia il 33% dei detenuti risulta coinvolto in attività lavorative, solamente l’1% di essi è impiegato presso imprese private e il 4% presso cooperative sociali… L’85% lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria».

In che modo il Giubileo può cambiare la vita di un recluso?

Nella Spes non confundit, la bolla di indizione giubilare, il Papa parla della necessità di eliminare la pena di morte.
Se anche un solo Stato accogliesse questa richiesta, sarebbe già una vittoria, visto che uccidere per pena non potrà mai portare alla redenzione completa di un carcerato.
Noi italiani siamo al corrente dell’assurdità della pena di morte fin dai tempi di Cesare Beccaria, il nonno di Alessandro Manzoni.

Se uno non è “misericordiato”, come può diventare misericordioso?
A volte bisogna tentare, scommettere sulla bontà dell’essere umano.

Certo, non sempre ci si riesce. Ma quante volte ciascuno di noi promette di non ripetere più un dato errore, salvo poi ritrovarsi tempo dopo nelle stesse condizioni?

L’attività di volontarie e volontari allevia non poco la situazione delle nostre carceri, difficile sia per i reclusi che per gli agenti.

Intanto, qualcosa si muove.
Dal 2022, è in vigore la cosiddetta Riforma Cartabia, dal nome dell’allora Ministra della Giustizia.
La novità risiede nell’introdurre percorsi di giustizia riparativa. Una modalità complessa per ricucire lo strappo creatosi tra reo, vittime e comunità ferita.

Potrebbe sembrare l’ennesimo tentativo inutile, figlio dei buoni propositi;
invece, può davvero segnare un cambio di passo.

Io stesso me ne sono accorto, ormai diversi anni fa, quando partecipai ad un incontro pubblico in cui erano sedute dietro lo stesso tavolo Agnese Moro, figlia dello statista Aldo (rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978) e la terrorista Adriana Faranda, membro della colonna romana delle BR, che svolse un ruolo importante durante il sequestro Moro ma si oppose all’omicidio del presidente della DC.

Chiunque può sbagliare nella vita. Nell’omelia a Rebibbia ce lo ricorda il Pontefice, sensibile all’argomento, tanto da proporla interamente a braccio. «I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere», afferma.
«Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire i cuori alla speranza».

 

Francesco Di Sibio
Responsabile Ufficio comunicazioni sociali
Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia

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