“Lettere sotto l’albero” | 3

La “lettera sotto l’albero” di oggi è di Francesco Semeraro. Da una storia personale ad un’azione misericordiosa che coinvolge tanti

Caro mondo,
la storia che voglio raccontarti inizia, nello stesso momento, nella vita di quattro famiglie che non si conoscono ed abitano in quattro città diverse. Quattro storie accomunate dal desiderio di genitorialità, non di pancia, ma di cuore. È così che di solito le famiglie adottive descrivono la felicità di una gravidanza alternativa.

Le quattro famiglie si ritrovano insieme per vivere la gioia di questa nascita in Burundi, un piccolo Paese nel cuore dell’Africa dove la povertà si impone sconvolgente alla tua vista toccando le corde del tuo cuore.

Lungo le strade percorse a piedi nudi da tante parte di umanità, resti quasi sconvolto dal numero di bambini che sembrano vagare nel nulla, mentre noi sfrecciando li superiamo a bordo dei fuoristrada che abbiamo noleggiato.

Come fai a sopportare la coesistenza di queste differenze così estreme? Lo chiedo a te, mondo, affinché la domanda rimbalzi su di me!

Quando incontrai Chancelline – insieme a mia moglie Francesca – fu un susseguirsi di emozioni che danzavano attorno all’immensa gioia che ci avvolgeva, cancellando l’ansia degli anni d’attesa appena terminati.

Quel giorno, mentre ancora realizzavo la mia nuova condizione di padre, Chancelline mi condusse, mano nella mano, negli ambienti che fino a quel giorno erano stati la sua casa.

La visita fu breve ma intensa per l’esiguità degli spazi e l’essenzialità degli arredi. Non parlavamo ancora la stessa lingua ma ci capivamo lo stesso, cercando di modulare i battiti del cuore che in entrambi acceleravano ad una frequenza sempre alta.

Per la durata della visita e la permanenza all’orfanotrofio uno stuolo di bambini ci seguiva. L’intera infanzia di quel luogo cercava un contatto ravvicinato, per cercare di esaudire il desiderio di figliolanza. Anche volendo non potrei dimenticare gli occhi di una bimba bramosa di un abbraccio, di una coccola o di una semplice stretta di mano. Purtroppo quel giorno non potei accontentarla – mi avevano raccomandato di non farlo perché giustamente quello era il giorno di mia figlia.

Qualche mese dopo avrei re-incontrato quella bambina in Italia dove aveva avuto la gioia di una famiglia. Stringendole la mano le chiesi: «Ti ricordi di me?» Non mi rispose ma fece cenno di sì con la testa, sorridendo. L’abbracciai e le feci una carezza.

Il contatto con quei bambini mi aveva lasciato una sensazione difficile da spiegare: erano in conflitto la gioia di aver incontrato mia figlia ed il dispiacere di non aver potuto dare un abbraccio a tutti quei bambini. Ma non fui solo in questa sensazione. Quel pomeriggio d’inizio maggio scoprii che anche Francesca aveva provato quella sensazione e poi, quella sera stessa, a cena anche gli altri neogenitori la condivisero.

I giorni della permanenza in Burundi furono carichi di esperienze ed emozioni nuove con i nostri figli, ma anche il fermento per un progetto più grande che prese forma a pochi mesi dal nostro rientro in Italia.

Dalle storie delle nostre quattro famiglie, nacque un “pazzo sogno”, un progetto a cui, neanche noi, riuscivamo a dare la forma che ha oggi.

Nel 2017 l’intreccio delle vite della quattro famiglie diede vita all’associazione 4inzu, “4” perché siamo in quattro e “inzu” perché, in kirundi, la lingua che si parla in Burundi significa sia “casa” che” famiglia”. Desideravamo dare una casa ai bambini che aspettano di poter abbracciare una mamma e un papà.

Abbiamo pensato ad una casa che ho progettato e riprogettato più volte per ospitare al meglio i bambini orfani e in difficoltà. Sono stato altre volte in Burundi per osservare la gente e concepire nuove idee, ogni volta con un sogno più ambizioso. Qualsiasi elemento era un’attenzione nei confronti dei bambini; ogni diritto negato a quei piccoli si trasformava in un sogno a cui dare concretezza: dal cibo all’istruzione, dal gioco alla salute, dal sorriso alla pienezza di vita.

Le nostre storie hanno emozionato, le nostre vite hanno intrecciato altre vite e la nostra passione ha contagiato altri cuori; diverse persone hanno collaborato per trasformare quel pazzo sogno nella realtà che è oggi “Nice Hope House”, la casa sulla collina di Zege ad un paio di chilometri da Gitega che vuole donare ai bambini una “bella speranza”.

Caro mondo, non ti chiedo miracoli che lo sguardo dei bambini può realizzare, non ti chiedo imprese impossibili che possono realizzare gli uomini se solo sanno amare, ti chiedo solo un gesto possibile.

Tu, fratello o sorella sei mondo, tu padre o madre sei mondo, tu figlio o figlia sei mondo, tu lontano o vicino sei mondo, i bambini che aspettano una mamma e papà sono mondo, una manina che stringe quella del suo papà è mondo, gli occhi emozionati di un bimbo che guarda la sua mamma sono mondo.

Però anche il sorriso spento di un piccolo cucciolo è parte di mondo, due cuori separati per la povertà sono mondo, lo stomaco che brontola per i morsi della fame è mondo, una ferita al piedino che ha preso infezione è mondo, un bambino che brama un abbraccio o che vaga da solo per strada è mondo…

Allora, mondo, fammi essere fratello e sorella per ridere insieme, fammi essere papà e mamma per far battere i cuori all’unisono, fammi essere figlio e figlia per chiedere un abbraccio, fammi diventare capace di curare una ferita, dammi il tempo di stringere le mani, fammi essere compagno di viaggio per chi cammina da solo.

Caro mondo, se senti di essere compagno di viaggio, cammina con noi, non pensare solo al denaro, puoi donare del tempo, puoi donare abbracci, puoi donare te stesso al mondo.

(*** Francesco Semeraro, ingegnere, nato in Puglia e figlio adottivo del Burundi, papà di cuore e socio fondatore di 4inzu Odv)

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