L’eredità di Biagio: tutto per i poveri

Ripercorrere la vita di fratel Biagio Conte, per alimentare le sue opere di misericordia e le sue parole: “Prendetevi cura dei poveri”

Ci sono esattamente 950 metri tra la stazione centrale di Palermo e via Archirafi. All’incirca 10 minuti a piedi, a passo svelto, passando per Corso dei Mille. Ma esiste una distanza più soggettiva tra noi e i poveri e può essere un tragitto più o meno lungo, a volte tortuoso o mai battuto.

Biagio Conte ne ha fatto invece la sua strada maestra, da quando, nel 1991, ha iniziato a dare soccorso e conforto ai senzatetto.
«La scelta dei luoghi più adeguati era determinante per lui», ci racconta don Pino Vitrano, da sempre al suo fianco. «Tanti fratelli gravitano attorno alla stazione e le loro problematiche si innescano con il concetto di partenza. La stazione, quindi, come «polo di ritrovo, di condivisione e di vita», come «il cuore che attende di essere cercato nel momento della prova».

«Ti posso chiamare fratello? era sua la domanda più ricorrente. La chiave che apriva le porte chiuse in un mondo di disperati e che faceva sentire ciascuno prezioso», continua il salesiano mentre fuori c’è il fermento tipico delle famiglie al mattino, con letti ed esistenze da rifare.

È un via vai di ospiti, volontari, collaboratori e visitatori. Come ricorda fratel Claudio Parotti, missionario comboniano per 12 anni in Colombia, «lì, le frontiere sono molto relative. Mi colpì vedere diverse centinaia di persone e non riuscire a tracciare un confine».

Anche al suo funerale è stato così, con oltre 10.000 persone di vari contesti. «La partecipazione della comunità ebraica, di cattolici, musulmani, indù e anche di tanti atei è l’eredità che Biagio ci lascia, insieme al proposito di rendere Palermo una città sempre più interculturale e inclusiva. È stato come perdere un amico comune e aver condiviso tutti insieme il bene che ha seminato riuscendo a farci ascoltare il grido degli invisibili».

Così Anna Staropoli, sociologa dell’Istituto “Pedro Arrupe”, commenta l’ultimo saluto a Biagio, che non era né un frate né un sacerdote, ma tutti chiamavano “fratello”.

«Non è stato un commiato, ma un momento pubblico di riconoscenza», aggiunge don Enzo Volpe, salesiano, già direttore del Centro Santa Chiara ed ora impegnato con “Casa Ancora”. «Un esempio di comunione forte con i poveri e un pungolo continuo per le istituzioni, ma più di ogni cosa un uomo toccato da Cristo».

La libreria delle Paoline di Corso Vittorio Emanuele si trova proprio di fronte alla Cattedrale, dove si sono tenute le esequie. «Quella folla enorme non la dimenticherò mai. È stata un’emozione grandissima perché è il popolo che si è mosso spontaneamente». Suor Fernanda Di Monte, delle Figlie di San Paolo, conosce fratel Biagio da più di 20 anni; ha anche aiutato il regista Scimeca per il film uscito nel 2014 a cui «all’inizio, era contrario».

Per la religiosa, lui «è stato uno “scomodo” segno del Cielo; ci ripeteva che i poveri vanno accuditi, con rispetto, e non assistiti. Dal niente, è stato un crescendo di tante opere».

Da Brancaccio, don Maurizio Francoforte, della parrocchia di “San Gaetano”, quella che fu del beato don Pino Puglisi. Un’amicizia di oltre 15 anni, uniti nelle idee e nella malattia. «È riuscito a realizzare il sogno di una società umana più giusta, senza mai scoraggiarsi o scendere a compromessi. Aveva già immaginato la Cittadella di via Decollati dove gli altri vedevano solo i ruderi di una caserma abbandonata e immondizia. Visto da fuori, infatti, era considerato o un santo o un pazzo scatenato».

Della follia di Biagio ha parlato, durante l’omelia, anche il vescovo mons. Corrado Lorefice, invocando «il sinodo di una Chiesa nuova, di una Palermo nuova».

È l’impegno che tocca a tutti, d’ora in poi, in una città che di colpo si è ritrovata orfana ma ha l’occasione di diventare adulta. «Spero che la morte di Biagio possa servire a scuotere ancor di più le coscienze e ad interrogarsi in modo serio su un altro tipo di società», si augura don Pino Vitrano. Lontano dai fuochi di paglia, dai gesti eclatanti e dall’onda dell’emotività.

«Bisogna essere comunicatori del bene e alimentare i circuiti virtuosi», suggerisce Serena Termini, corrispondente di Redattore Sociale, che ha seguito molte sue battaglie. «Capace di saltare le sovrastrutture, credeva moltissimo nel potere della parola».

Anche se spesso «la sua voce è rimasta inascoltata», padre Alessio Geraci, giovane comboniano palermitano, fa presente che «i suoi discorsi semplici, frutto di una profonda esperienza di Dio, sapevano arrivare al cuore di chi li ascoltava e trasformarlo. Un profeta che parlava anche con i gesti e le azioni concrete, come i digiuni, gli scioperi della fame, gli appelli, i pellegrinaggi. Un punto di riferimento per tutti».

Compresi i giovani del gruppo I care di Brancaccio, come il ventenne Alessandro Zangara («è una fonte d’ispirazione, perché ci ha dimostrato come anche senza niente si possa dare aiuto»); Ida Gagliano («ci ha insegnato la vera trasgressione»); Monia Casella («l’ho incontrato il giorno prima della sua morte: aveva il volto sereno di chi ha amato Dio»); Valentina Casella («un uomo che sembrava uscito dal Medioevo ma che, nel 2023, ha attirato a sé, per portarla a Cristo, una città intera»).

Ora, fratel Biagio riposa nella “Casa di preghiera per tutti i popoli”, un capannone di via Decollati trasformato nella chiesa che celebra il dialogo tra le culture. Dalla sua bara, realizzata da un fratello musulmano sordomuto con il legno delle traversine ferroviarie, ancora una volta ci parla di altre possibilità e di una nuova vita. Perché, se si resta nei pressi di una stazione, ripartire è la cosa più bella e più sensata da fare.

Una vita avventurosa in cerca di Dio

Nato nel 1963, il missionario laico è morto a Palermo il 12 gennaio 2023, a 59 anni, per un tumore al colon. A 26 anni (1990), lasciò la famiglia agiata per appartarsi dal mondo e raggiungere Assisi a piedi. Rintracciato da “Chi l’ha visto?”, tornò in Sicilia deciso a partire per l’Africa, ma restò turbato dai senzatetto della stazione della sua città. Iniziò quindi lì la sua opera e nel 1993 fondò la Missione “Speranza e Carità”, a cui sono seguite la Comunità femminile (2003) e la Cittadella del Povero e della Speranza (2018), insieme ad altre comunità sparse per l’Isola. Pur avendo accolto fino a prima della pandemia più di 1000 fratelli (senza dimora, ex detenuti, migranti, ecc.), Biagio ha spesso sentito il bisogno di protestare, digiunare, ritirarsi in eremitaggio, per tenere alta l’attenzione su precarietà e indifferenza. Le sue ultime frasi: “Vi voglio bene”; “Prendetevi cura dei poveri”; “Tenete salda la Chiesa”.

 (Loredana Brigante, da Popoli e Missione, maggio 2023, pp. 22-25)

Fonte

  • Popoli e Missione

Immagine

  • Missione Speranza e Carità
SEC 2024-2025
Potrebbe piacerti anche