
L’arcobaleno della primavera
È un’esplosione di gioia e di colori l’Holi Festival, antica ricorrenza che si celebra nel mese di marzo in India
Diffusa anche in Bangladesh, Pakistan, Nepal e Sri Lanka
«È la festa della primavera e della vita, che ricorda la vittoria del bene sul male e promuove un senso di unione e di uguaglianza», ci spiega dal Kerala suor Elizabeth Beena, della Congregazione “Suore dell’Apostolato Cattolico”. «Cade nel giorno di luna piena del mese induista chiamato Phalgun (quest’anno, sarà il 25 marzo) e, con la fine del freddo invernale, si saluta la nuova stagione confidando in un buon raccolto», continua la suora pallottina.
Il rituale da cui prende il nome è quello del falò (“Holika Dahan”) in cui, tra canti e danze che si protraggono per tutta la notte, si commemora il rogo della demonessa Holika, punita per essersi prestata ad uccidere Prahalad, devoto a Vishnu, divinità del bene.
Come ci spiega don Davide, sacerdote che segue le Case della Carità in India, «è il tempo per purificarsi e per rinnovare le relazioni infrante. Nei crocevia delle città, tra legna, foglie secche e vecchie cose, nel grande fuoco che riceve l’apporto di tanti, bruciano il dolore, la negatività e la divisione». Fino al “Dhulhendi”, l’atteso giorno dei colori.
«Tutti, indistintamente, festeggiano l’Holi: familiari, amici e vicini, dai più piccoli ai più anziani, convinti di superare ogni diverbio», ci scrive suor Marina Rossignoli, missionaria delle Figlie della Carità Canossiane che collaborano con il “Gruppo India” fondato nel 1980 da padre Mario Pesce. «Dove sono io, ad Allahabad (o Pryagraj), dura alcuni giorni, in una mescolanza di età, caste e status diversi. Un crollo delle barriere sociali che si manifesta soprattutto quando, dopo 40 giorni di preparativi, ci si riversa finalmente per le strade lanciandosi addosso polveri colorate e acqua, replicando l’allegria giocosa di Krishna».
Secondo la tradizione, infatti, quest’ultimo, innamoratosi di Radha, una lattaia dalla pelle chiara (mentre la sua era blu), le colorò scherzosamente il viso.
«Sono atterrata a Bombay 54 anni fa, in questa terra così nuova per me», ricorda suor Marina. «Era il 23 marzo 1970 e, uscita dall’ufficio stranieri, vidi tanti uomini con abiti schizzati di colori vivaci. Pensavo fossero imbianchini e, invece, scoprii dopo che avevano appena festeggiato Holi. Oggi, quando i nostri collaboratori vengono a farci gli auguri, stiamo in parte al gioco anche noi».
Anticamente, i colori si ricavavano dai fiori essiccati, ma negli ultimi anni si ricorre a polveri chimiche, nocive per la salute di occhi, pelle e vie respiratorie e inquinanti per l’ambiente.
È tuttavia un momento di gioia per tutti e «al segnale, dopo aver fatto un bel bagno e indossato abiti nuovi, si è pronti per la visita ai parenti e per condividere abbracci, regali e tante cose buone da bere e da mangiare (Shakarpari, Gujiya, Thandai, ecc.). Ci si porta dietro anche un piccolo contenitore di polvere colorata da applicare l’uno sull’altro durante lo scambio di auguri», aggiunge suor Marina.
Suor Elizabeth fa presente che «quando i poveri non possono permettersi questi pasti, l’Holi diventa occasione di generosità e condivisione. Per questo ed altri aspetti, quindi, i cristiani possono prenderne parte».
Dall’Ispettoria Salesiana di Dimapur, infatti, Fr. Roy George – tramite la Fondazione “Fratelli Dimenticati” – riferisce che «Holi, nel tempo, ha superato i confini religiosi, divenendo luogo di incontro tra culture, promuovendo l’armonia interreligiosa e ricordandoci che, al di là delle differenze, possiamo unirci e celebrare insieme le gioie della vita».
Come già accade a Mumbai, nello slum di Malad East, a “Shanti Niwas”, una casa di accoglienza per diversamente abili provenienti dalla strada, dove attualmente vivono insieme, come in una famiglia, hindu, musulmani e cristiani.
«Abbiamo sempre preso parte a questo momento di festa, quando i vicini entravano in casa per colorarci le guance e la fronte. La nuova stagione sembra segnare per tutti la possibilità di un cambiamento e l’opportunità per diventare fratelli di una comunità in cammino».
(Loredana Brigante, Popoli e Missione, marzo 2024, pp. 48-49)
Fonte
- Popoli e Missione