L’abbraccio che non ho ricevuto, ma che ho sentito nel cuore

La disabilità non va trattata diversamente. Il racconto semplice dell’abbraccio di ha compreso il senso dell’amore

Durante questo viaggio in Africa, ho visitato tanti orfanotrofi, incontrato centinaia di bambini, ascoltato mille storie che mi hanno lasciato il segno. Ma c’è una bambina che porto nel cuore più di tutte.
Era in un orfanotrofio che chiamano dei bambini speciali.
Io ho sempre odiato questo termine, perché ogni bambino per me è uguale, merita lo stesso sguardo, lo stesso sorriso, lo stesso
amore.
Ma in quel posto, tra tante voci e mani tese per salutarmi, c’era lei.
Non si è alzata, non è corsa verso di me, non mi ha stretto forte come hanno fatto gli altri.
Era semplicemente seduta, immobile, e mi abbracciava con gli occhi.
Ho sentito il suo richiamo silenzioso, così le ho dato la priorità.
Mi sono avvicinato e, anche se lei non poteva stringermi, l’ho fatto io per entrambi.
In quel momento, il suo cuore batteva a mille. Il mio lo seguiva. E in quell’attimo, senza parole, senza gesti apparenti, ho riconosciuto
uno di quei rari momenti in cui la vita mi insegna cos’è davvero l’amore.
Troppo spesso trattiamo i bambini con disabilità in modo diverso, con un tono di voce più dolce, con espressioni che sottolineano la differenza invece di abbatterla.
E non lo facciamo per cattiveria, ma perché non ci hanno insegnato a fare diversamente.
Io per primo, da piccolo, mi comportavo così.
Poi ho viaggiato, ho visto il mondo, e ho imparato che ogni bambino – ogni persona – ha il diritto di essere trattata con la stessa
semplicità, lo stesso rispetto, lo stesso amore.
Non servono parole diverse, attenzioni diverse. Serve solo guardarli per quello che sono: anime pure, cuori che battono all’unisono con i nostri, se solo ci avviciniamo nel modo giusto.
SEC 2024-2025
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