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La Spiritualità: mente comune, espressione di ciascuno

Spiritualità e Assistenza Sanitaria: Riflessioni e Pratiche nell’Ospedale del Villaggio Globale

Spiritualità è un terreno assolato che non conosce geografia né confini, brullo in una sua definizione univoca ed universale, zona di saggio perenne per la soggettività dei bisogni degli uomini durante il proprio ciclo vitale. Il “qui” e il “dove” la persona si trovi sono da considerarsi come l’“ABC” della relazione con la dimensione spirituale dell’uomo, soprattutto a fronte della connotazione culturale che essa rappresenta per ciascuno di noi.

La spiritualità è sempre “qualcosa in più” di quello che già si possa conoscere, in quanto la persona manifesta mille volti di sé, soprattutto di fronte ad alcuni dilemmi della propria esistenza: la vita ed il viverla, fino alla morte.

La malattia, in quanto limite primo dell’uomo, sembra scoprire ed esaltare questa dimensione, così l’uomo si mostra e spesso palesa parole, gesti e comportamenti che parlano del male, ma anche delle possibili sue cure.

La spiritualità è riconosciuta come una preziosa risorsa per tutti coloro che stanno vivendo un periodo critico della loro vita; non a caso esiste una stretta e positiva correlazione tra “dimensione spirituale” e “salute”.

Poiché la spiritualità di un individuo è profondamente influenzata dalla sua storia personale, culturale, sociale e religiosa, risulta difficile trovare una definizione universalmente accettata, in quanto essa è unicamente individuale e soggettivamente definita.

Tuttavia, la spiritualità può sinteticamente riassumersi in ciò che dà un significato, uno scopo ed una direzione al nostro vivere; l’insieme delle convinzioni e dei valori in base ai quali “organizziamo” la nostra vita.

Considerando che l’Italia di oggi, e così la sua sanità, sono diventati un villaggio globale ricco di “anime e colori”, soprattutto in seguito ai flussi migratori, i bisogni espressi dalle persone assistite possono essere i più svariati ed “inaspettati”. In Italia sono numerose le presenze di cittadini provenienti da Paesi come la Romania (circa 1 milione), Marocco (513mila), Albania (498mila), Cina (305mila) e Ucraina (225mila).

Dai risultati della ricerca sullo stato delle religioni in Italia, condotta nel 2013 dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), è emerso che il nostro paese ospita più di 800 minoranze religiose e spirituali (intese come religioni diverse dalla cattolica), e che tra i cittadini italiani prevalgono Protestanti (30,7%), Buddhisti (9,5%) e Testimoni di Geova (9,3%); tra gli immigrati: Musulmani (42,3%), Ortodossi (40,2%) e Protestanti (6,6%).

Generalmente la dimensione spirituale di una persona emerge in modo più intenso e urgente quando il “sistema” al quale si è affidata sembra non essere più in grado di rispondere ai suoi bisogni. Il tutto viene esplicato anche negli articoli di “spiritualità” presenti in letteratura che appunto trattano questa dimensione soprattutto a confronto con l’ambito delle Cure palliative. È in questi momenti delicati della vita che l’individuo, talvolta pervaso da quei sensi di paura, rabbia, tensione e smarrimento, comincia a guardare avanti alla ricerca di un significato, di uno scopo e di un’interpretazione della sua esistenza, ponendosi quesiti sui “perché” e sui “motivi” di insorgenza della malattia.

Sebbene la spiritualità di una persona emerga particolarmente nei contesti ad alta intensità assistenziale, tale dimensione deve essere valutata caso per caso ed in ciascuna persona; risulta, infatti, fondamentale porre attenzione alla spiritualità dei cosiddetti “malati fragili” (minori, donne che si ammalano in gravidanza o che decidono di interromperla, pazienti affetti da malattie psichiatriche o a prognosi infausta).

A tal proposito a partire dallo scorso dicembre è stato condotto uno studio preliminare in alcuni reparti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi e dell’Azienda Sanitaria Firenze al fine di rilevare la presenza di spiritualità nelle pratiche assistenziali.

L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare in quale misura gli operatori infermieri fossero consapevoli dell’esistenza di una dimensione spirituale e se essa fosse contemplata nella loro pratica quotidiana.

Attraverso la compilazione di una griglia di osservazione a carattere multidimensionale, è stato indagato “come” e “quanto” nelle cartelle cliniche quotidianamente utilizzate (strumento indispensabile per una conoscenza più approfondita del paziente) venga considerato l’aspetto spirituale. Da una lettura dei “diari clinici” presenti in cartella sono emersi termini, annotati dagli stessi operatori o direttamente riferiti dai pazienti, alquanto curiosi.  C’è chi chiede di “essere lasciato in pace”, chi, invece, afferma che “la solitudine uccide” e di non volere stare solo in stanza; chi si pone domande, come “ma guarirò o qui si muore?”, oppure chi risulta sereno circa il proprio stato di malattia grazie al proprio credo religioso; chi chiede di poter tornare a casa per stare con la propria famiglia.

Gli infermieri hanno poi anche compilato un questionario semi-strutturato, suddiviso in due sezioni, di cui la prima dedicata all’infermiere e alla sua conoscenza circa la spiritualità, la seconda concentrata sull’interazione operatore e bisogni spirituali del paziente.

Una massima parte dei soggetti (83%) riferisce di conoscere la differenza tra religione e spiritualità e la maggior parte degli operatori (88%) attribuisce a tale dimensione una importanza spiccata come dimensione propria dell’assistenza infermieristica, spiegando le motivazioni per cui la dimensione spirituale non possa e non debba essere trascurata. Tra i “perché” più interessanti annotiamo che “la spiritualità definisce l’essenza di ogni persona”, “la spiritualità aiuta nel processo di guarigione e facilita un morire bene”.

Ciò che ha dato una marcia in più alla ricerca è stata la domanda: “se lei immaginasse di essere il paziente”.

La dimensione spirituale, infatti, appartiene a tutti, operatori e persone assistite, ed una conoscenza della propria spiritualità da parte dell’operatore stesso risulta essere il “preludio” per l’erogazione di un’attenta cura spirituale. Alcuni operatori hanno parlato di sé di fronte alla malattia (vorrei mia madre vicino), altri del tema della “speranza”, altri ancora del proprio “modo di essere” di fronte al dolore che richiederebbe una considerazione “speciale” della condizione esistenziale di sofferenza in un momento così fragile e delicato nella vita di una persona. C’è stato chi ha parlato di “solitudine”, chi di “presenza e sostegno”; comunque principi umani che non devono “condire” l’assistenza (detto dagli stessi operatori), ma esserne la sua anima motivante.

Gli operatori hanno anche riferito come la spiritualità riguardi frequentemente il proprio operare quotidiano (il 52% dei soggetti hanno risposto che “spesso” si trovano a dover rispondere a bisogni spirituali) ed è come se tra i bisogni di spiritualità “incontrati” siano emerse tre dimensioni. Tra queste, una francamente religiosa (estrema unzione, accompagnamento alla morte, partecipazione alla messa), una più strettamente correlata alla dignità (coprire il proprio corpo, rispettare alcune tradizioni culturali del proprio paese di origine), e una propriamente inerente uno degli elementi primari nella vita dell’uomo: l’autodeterminazione.

Un ulteriore indicatore raccolto è che solo il 35% degli infermieri dichiara che la propria équipe sia in grado di rispondere alle richieste di bisogni spirituali dei pazienti. Ciò in cui si sentono “abbastanza bravi” è l’ascoltare la spiritualità delle persone.

È pur vero che, in generale, è richiesta una certa “predisposizione” da parte degli operatori stessi per riuscire in questo, ma anche la componente “formativa”, l’“aggiornamento” e la presenza di procedure e protocolli di riferimento da utilizzare in reparto (presenti solo nella SOD Hospice) hanno il loro peso.

Si tende spesso a pensare le cose in grande quando, invece, la risposta sta in piccoli semplici gesti e atteggiamenti, come incoraggiare i racconti, favorire rituali, se richiesti, essere aperti alle domande delle persone. Da uno studio qualitativo condotto in Thailandia dal titolo “Spiritual care provided by Thai nurses in intensive care units”, sono emersi cinque temi che gli infermieri thailandesi considerano importanti per garantire una assistenza spirituale ottimale: fornire supporto psicologico, agevolare l’esecuzione di rituali religiosi e rispettare le credenze culturali, comunicare con i pazienti e le loro famiglie.

Proviamo adesso, almeno per un istante, ad ampliare la nostra riflessione sul “rapporto uomo-uomo”, inteso come un “qualcuno” (operatore) che si occupa e va per un certo tempo a vicariare la “vita” di qualcun’altro (paziente).

Lo psicologo statunitense Maslow (1954), con la sua “gerarchia dei bisogni umani”, ci ha messo perfino il “sospetto” che il bisogno di spiritualità possa rientrare tra i bisogni primari dell’uomo, in quanto pensando bene alle considerazioni proposte dagli operatori, in effetti, morire bene o vivere decorosamente la permanenza in ospedale, “forse” non dovrebbe poi essere considerato un tratto umano così distante dal mangiare o dal bere.

Esistono molti “modi” per affrontare l’assistenza in tutta la sua complessità ed a tal fine è necessario sensibilizzare attivamente gli operatori a queste esigenze attraverso percorsi formativi istituzionali, ma possiamo farlo da subito anche noi stessi, attraverso il potenziamento di tre dei nostri cinque organi di senso: la “vista, l’“udito” ed il “tatto”, considerati nel loro insieme gli indici dell’“essere con” la persona.

Oggi il contatto fisico sembra ancora “impaurire” alcuni operatori, come se esso significasse varcare l’intimità della persona e capire, così, ciò che davvero sta provando. Talvolta è lo stesso timore di non riuscire a mantenere quel “metro” di distacco tra la nostra anima e quella del paziente che ci impedisce un semplice “tocco di mano”.

È incredibile pensare quanto una carezza sia un gesto elementare polivalente, eloquente ed espressivo, capace di trasmettere forza, ma anche coraggio e comunanza emotiva.

Bibliografia

  • Campanello L., Sala G., La dimensione spirituale e religiosa alla fine della vita, Capitolo 7 in M. Costantini, C. Borreani, S. Gubrich (a cura di), Migliorare la qualità delle cure di fine vita – Un cambiamento possibile e necessario, Erickson, Gardolo (TN), 2008.
  • Centro Studi e Ricerche IDOS, Immigrazione Dossier Statistico 2013, Roma, 2013.
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  • Lundberg P. C., Kerdonfag P., Spiritual care provided by Thai nurses in intensive care units, Journal of Clinical Nursing 19, 2010.
  • Puchalski, C., Spirituality in health: The role of spirituality in critical care, Critical Care Clinics 20, 2004: pp. 487-504.
  • Sartori P., Spirituality 1: should spiritual and religious beliefs be part of patient care?, Nursing Times, 2010, July 19.

Iacopo Lanini

FILE Fondazione Italiana di Leniterapia

                           Dipartimento di Scienze della Salute – Università degli Studi di Firenze

Sara Cheloni

Laurea in Scienze Infermieristiche – Università degli Studi di Firenze

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