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La Pasqua Messianica

Letture: 2 Re 4,42-44; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15

La liturgia interrompe oggi la “lectio continua” del Vangelo di Marco per proporci, per cinque domeniche, la meditazione del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, con il grande discorso sul “Pane di vita”.

Il capitolo 6 inizia con il racconto della moltiplicazione dei pani. La narrazione ha come sfondo il libro dell’Esodo, cui continuamente allude: il passaggio del mare, la moltitudine in cammino, il monte, il pane, citazioni implicite del testo (Es 3; 16; 33…) e della tradizione rabbinica su di esso. L’annotazione del v. 4: “Era vicina la Pasqua”, ci indica che dobbiamo leggere questo capitolo in un contesto pasquale: se al capitolo 2, durante la Prima Pasqua, l’attenzione era soprattutto su Gesù come nuova vittima sacrificale, qui viene sottolineato di più un secondo segno della festa giudaica: i “mazzoth”, i pani azzimi. In Dt 16,3 sono presentati come pani di afflizione, il pane degli oppressi che non possono permettersi il tempo della lievitazione; ma in Es 12,39 essi sono il pane della liberazione, avvenuta così in fretta da non dare tempo agli schiavi di cuocersi un pane normale: entrambi questi significati saranno ripresi da Gesù.

“Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli” (v. 3); il monte è il luogo, nell’Antico Testamento, dove risiede la Presenza di Dio: sul Sinai egli si rivela (Es 19,18), sul monte Sion egli abita nel tempio (Sl 87; Is 2,2-5; 1 Re 8,11…). Gesù proclama di essere lui il Luogo dove la Shekinah, la Gloria di Dio, si manifesta ormai definitivamente. Davanti a lui stanno le folle affamate: non solo di pane, quanto di senso della vita, di guarigione, di pace, di felicità (v. 5). Gesù mette alla prova (tema tipicamente esodico: Es 15; 16; 20; 32…) la sua chiesa, invitandola a sfamare questa gente. E la sua chiesa subito si mette a fare calcoli umani, pensando come potere risolvere il problema secondo la logica mondana (vv. 5-7). Ma Gesù la spiazza completamente, imbandendo nella sua onnipotenza la Pasqua messianica: ordina che la folla sia fatta sdraiare (v. 10: “anapesèin” non è essere seduti, ma sdraiati, l’atteggiamento, durante il pasto, degli uomini liberi), la dispone su un “luogo con molta erba” (v.10: una stranezza… nel deserto, ma chiara allusione al Regno messianico: Sl 72,16; 23,1-2..), per un totale di 5000 uomini (v. 10: la Pasqua escatologica non si celebra più in famiglia, secondo Es 12,3, ma in comunità), imbandendo il lauto e sovrabbondante banchetto del Giorno di JHWH (vv. 11-13: cfr Pr 9,1-5; Is 25,6-12; 55,1-3; Ap 19,8.17).

Il racconto ci richiama il miracolo di Eliseo, presentatoci nella Prima Lettura: là 100 pani erano bastati per 100 uomini, ora 5 pani bastano per 5000. Gesù è ben più grande di Eliseo: egli è il “profeta che deve venire nel mondo” (v.14), la rivelazione escatologica di Dio promessa a Mosè (Dt 18,15-18). Ma gli astanti, attendendo un Messia forte e potente, vogliono farlo re: si ripete l’episodio di idolatria degli israeliti nel deserto (Es 32), quando essi cercano di adorare JHWH secondo l’idea e l’immagine che essi se ne sono fatta (il vitello d’oro, simbolo di forza e di ricchezza). I giudei sono disposti ad accettare il Gesù che loro si aspettano, quello che fa loro comodo: ma Gesù sarà vero Re solo sulla croce. E la salita di Gesù “sul monte, tutto solo” (v. 15) è profezia della salita del Golgota da solo, abbandonato da tutti (16,32).

Il Signore che ci fa sperimentare la sua gloria, la sua capacità di sfamare le profondità del nostro cuore, ci aiuti ad accettarne anche la sconvolgente logica che lo renderà pane spezzato per farsi mangiare, e che chiede anche a noi di farci pane per i fratelli, diventando loro servi (Gv 13), come dice la seconda Lettura, “con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandoci a vicenda con amore” (Ef 4,1-6).

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