
La cura è un diritto
Il Direttore Responsabile e la Direttrice Editoriale, in un articolo di “Laborcare Journal”, parlano del diritto alla cura
di Gianluca Favero e Mariella Orsi
In quest’ultimo periodo, in molti ambienti, si parla dei diritti alle cure meno esigibili a causa dei tagli alla sanità che il Governo ha deciso di fare.
Curanti e curati avvertono, ancora di più, la precarietà di un sistema sanitario che, da universalistico e gratuito, rischia di ridurre, progressivamente, l’esigibilità di quanto dichiarato nell’art. 32 della Costituzione e nella Legge 833 del 1978.
Arthur Kleinman, noto antropologo sociale, nel corso di una intervista[1], afferma che, sempre di più, si assiste ad una “crescita della sofferenza sociale che, nelle città tocca i nuovi poveri e i gruppi più vulnerabili, dai nuovi homeless alle fasce deboli, agli immigrati. A mio giudizio politici, economisti, psichiatri non sono pienamente consapevoli della gravità della situazione (…) non si possono separare i problemi sociali da quelli sanitari”.
Forse è giunto il momento che, anche nella nostra rivista, si sottolinei l’importanza di tenere insieme il rispetto della equità nella distribuzione delle risorse umane, oltre che finanziarie, dell’ambito sanitario con i doveri di un management attento e rispettoso dei bisogni delle persone malate.
La nostra società, infatti, è ora impegnata nella sfida di garantire l’accesso a farmaci anche salvavita (vedasi il caso di quelli utilizzati nell’epatite C) che possono cambiare la storia naturale di molte malattie croniche, così come l’adeguamento dei servizi territoriali che devono permettere e facilitare le cure domiciliari, riducendo i ricoveri impropri in ospedale.
È necessario, infatti, offrire la giusta attenzione alle persone affette da malattie rare e ai malati fragili per età o disabilità.
Abbiamo quindi pensato, per contribuire al tema scelto anche per questo numero 13 della rivista, “Riflessioni sul lavoro di cura”, di partire dalla sintesi di un importante studio realizzato da alcuni membri del Nucleo CNAI di Firenze che ha avuto come obbiettivo quello di “individuare gli aspetti ‘caratteristici e che hanno maggiormente colpito’ i pazienti e i caregiver riguardo la figura degli infermieri”, cercando di comprendere quale immagine d’infermiere si era impressa, nella mente delle persone malate e dei loro famigliari, durante un percorso di malattia.
Proprio nei giorni in cui chiudiamo questo numero è stato presentato al Senato un importante documento: “Linee propositive sulla relazione di cura: i doveri della medicina. I diritti del paziente”.
Partendo dal presupposto che la relazione equipe sanitaria – persona malata deve rimanere il fulcro della cura, il documento chiarisce i tre principi ai quali le cure devono ispirarsi:
- appropriatezza
- proporzionalità
- consensualità
Rimandando al documento, che deve essere letto con accuratezza e diventare patrimonio di tutte le professioni sanitarie, ci piace ricordare che questi criteri sono anche alla base di due documenti elaborati in Toscana: la Carta di Pontignano ( 2002) e la Carta di Firenze (2005).
Molti dei contributi che operatori sanitari hanno offerto a Laborcare Journal, sono dettati dalla preoccupazione di avere, o non avere, concretizzato aspetti etici e deontologici rendendo le cure appropriate, proporzionate ma, talvolta, non rispettando un reale consenso basato su una adeguata informazione e nella reale comprensione degli interventi “autorizzati” dal paziente solo con la firma di un modulo.
Mentre per le cure di fine vita erogate dai servizi di cure palliative la pianificazione anticipata delle cure sembra essere una prassi piuttosto diffusa e consolidata, ancora molto, secondo noi, deve essere fatto per rendere edotti tutti i cittadini della possibilità di effettuare “dichiarazioni anticipate delle cure” coinvolgendo anche un fiduciario che, in caso di futura incapacità per eventi gravi improvvisi e/o acuti, possa garantire il rispetto delle proprie volontà nel rapporto con l’equipe curante.
Molta chiarezza, ancora, deve essere fatta e le “Linee propositive sulla relazione di cura”, documento elaborato dal Comitato Scientifico della Fondazione Cortile dei Gentili alla cui stesura hanno partecipato attivamente membri della SIAARTI e della SICP, ci sembrano essere un contributo autorevole riguardo al rifiuto delle cure inteso come “ risvolto necessario della consensualità e dell’appropriatezza delle cure, in relazione al beneficio che ne percepisce il paziente”.
Secondo questo documento, i principali strumenti per attuare quanto espresso, sono: “… Il primo, quando la cura non sia esaurita da singoli atti medici o da trattamenti di modesto rilievo, è la pianificazione condivisa delle cure. Essa consente al medico e al paziente di prevedere situazioni probabili o possibili ed ipotesi di trattamento preferite o rifiutate. Garantisce quindi una proiezione al futuro del consenso, che si estende, se il paziente lo richiede, anche oltre una sua perdita di capacità. Il secondo strumento è il fiduciario, cioè la persona dalla quale il paziente può decidere sia di essere affiancato, sia, in caso di incapacità, di essere rappresentato e tutelato nella relazione di cura. Il fiduciario è essenziale ove sia utilizzato il terzo strumento, le dichiarazioni anticipate del paziente. Esse sono volte al rispetto dell’identità dello stesso paziente e servono a realizzare, nei limiti del possibile, una eguaglianza di trattamento tra persone attualmente capaci e persone che non lo sono più. Naturalmente non vanno considerate un onere per la persona, che deve essere libera di giovarsene o meno in base alle proprie esigenze e convinzioni. Quando esse vi siano, rivolte come sono a situazioni ipotetiche future, rimarranno affidate alle collaborazione fra il medico e il fiduciario, che dovranno attualizzarle e concretizzarle in vista del miglior rispetto delle preferenze e della volontà del dichiarante nella situazione data, in una sorta di perdurante continuazione della relazione terapeutica. (…) Il Medico ha il dovere di interrompere le cure se non proporzionali a benefici e sofferenze della persona (…) l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deontologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale”.[2]
Potrebbe apparire come contraddittorio l’appello ai politici – che chiude il suddetto documento – a fare chiarezza con una legge riguardo a questo tema: se i tre criteri della cura sono legati alla situazione contingente e alle caratteristiche della singola persona malata e dello specifico rapporto con quell’equipe che lo cura, come possiamo pensare che un provvedimento legislativo chiarisca appieno la specificità del “qui e ora” rispetto ad una generalizzazione delle varie fattispecie?
Ecco che i rilievi critici ad un provvedimento governativo che riduce l’accesso a trattamenti/presidi sanitari confligge con una valutazione che solo i sanitari possono fare “in scienza e coscienza” in ogni singolo contesto.
[1] “Le nostre metropoli? Vulnerabili e malate” di Paolo Lambruschi, L’Avvenire:14 dicembre 2011
[2] Estratto da: “Sintesi delle linee propositive sulla relazione di cura”. Il documento è consultabile sul sito www.laborcare.it
-
E’ possibile consultare il numero completo della rivista sul sito www.laborcare.it
Fonte
- Laborcare Journal (Editoriale n. 13)
Immagine
- Creata digitalmente da spazio + spadoni