IV Domenica Di Pasqua B – Gesù, Il Pastore Divino
Letture: At 4,8-12; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18
L’Antico Testamento ci presenta IHWH come il “Pastore di Israele” (Gen 48,15): “Il Signore è il mio pastore…, su pascoli erbosi mi fa riposare” (Sl 23); “Tu, pastore di Israele,.. guidi Giuseppe come un gregge” (Sl 80,2; cfr Is 40,11). Dio si serve di uomini (giudici, re, profeti) per pascere Israele: ma spesso questi sono indegni, mercenari, e lasciano perire il gregge loro affidato (Ger 23,1-3; Ez 34,1-10). Ma, alla fine dei tempi, IHWH stesso si prenderà cura del gregge (Ger 23,3), lo radunerà (Mi 4,6), lo ricondurrà (Ger 50,19), e infine lo custodirà (Ger 31,10; Ez 34,11-22). Per far ciò, dice IHWH: “Io susciterò per loro un pastore che pascerà le mie pecore, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore” (Ez 34,23-24). Nasce l’attesa del pastore messianico, che “pascerà con la forza del Signore” (Mi 5,3): che però sarà colpito (Zac 13,7), trafitto (Zac 12,10), e la cui morte sarà salutare (Zac 13,1).
Gesù, durante la Festa della Dedicazione (Gv 10,22), in cui si leggeva, tra gli altri brani, proprio il capitolo 34 di Ezechiele, che canta IHWH come Pastore unico di Israele e mette in guardia dai falsi pastori, si presenta proprio come il pastore “kalòs” (Gv 10,11), letteralmente “bello”, in senso ideale di perfezione, cioè come il Pastore “ideale”, “modello”, “perfetto”: egli è colui che ha pietà delle pecore senza pastore ed è l’inviato alle pecore perdute della casa di Israele (Mc 6,34; Mt 10,6; 15,24). Egli è il “grande pastore delle pecore” (Eb 13,20), “il pastore ed il guardiano del gregge” (1 Pt 2,25), l’agnello-pastore che conduce alle fonti della vita (Ap 7,17). Gesù applica a sè i caratteri del pastore messianico che dà la vita per le pecore (Gv 10,11.15.17.18: lo ripete cinque volte!). Anzi, si proclama Dio stesso (l'”Io sono” dei vv. 9 e 11 è il Nome stesso di Dio!): le pecore sono “sue” (v. 14), ascoltano la “sua” voce (v.16). Egli le “conosce” (v. 14: semitismo per “amare”), e le sue pecore lo “conoscono”. Egli è il Pastore non solo di Israele, ma di tutte le genti (v. 16), unica salvezza per tutti gli uomini (Prima lettura: At 4,12). I Giudei capiscono l’enorme portata teologica di questo discorso, e concludono che è completamente pazzo, “indemoniato” (Gv 10,20).
Quale tenerezza nella definizione di Gesù come pastore: c’è tutta la sua agàpe, la sua provvidenza, il suo pensare a ciascuno di noi, preoccupandosi di noi, conoscendo i nostri ritmi, preparando per noi acque e pascoli tranquilli, conducendoci pian piano anche nelle tenebre e nei pericoli, difendendoci, recuperandoci se smarriti, dando la vita per noi! Quale sicurezza, quale serenità, quale pace quale gioia deve nascere per noi dalla contemplazione di questo mistero! Non siamo più noi a dover gestire, programmare la nostra vita. Non siamo più noi a dover cercare la nostra strada. Non siamo più soli nel pericolo e nelle difficoltà. C’è Dio che pensa a noi, provvede a noi, ci aiuta. Si scioglie la nostra ansia, la nostra angoscia. E cantiamo con il Sl 131,2: ” Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre!”.
Il Vangelo odierno è anche un monito ai pastori della Chiesa che, come Gesù, devono “amare-conoscere” le loro pecore e dare la vita per esse. Guai se sono solo “mercenari” (v,12)! Dirà Pietro: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato… non per forza, ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1 Pt 5,24).