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“Io sono perchè noi siamo”

La Persona nel contesto africano

I popoli africani, pur nella miriade delle varie aree geografiche e di gruppi etnici, hanno un gran patrimonio di valori in comune:  la spiccata radice comunitaria che l’essere umano ha sempre.

La Radice comunitaria dell’essere Persona

E’ questo un elemento essenziale e costitutivo. Se ne ha un esempio emblematico potendo entrare in contatto con società improntate all’Ubuntu, secondo il proverbio dei popoli Bantu “Io sono perchè noi siamo” che privilegia la socialità dell’essere umano e la realizzazione di sé in interazione con gli altri. “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti.

Ubuntu – come ci ricorda il World Forum of Civil Society Networks – è un’antica parola del linguaggio Bantu. Potrebbe tradursi con Umanità. E’ una filosofia e una concezione della vita che sta a fondamento spirituale delle società africane. E’ una visione unificante del mondo, espressa dal proverbio khosa/zulu:

“UMUNTU NGUMUNTU NGABANTU”

“Una persona è persona tramite e attraverso le altre persone”.

Ubuntu definisce cosa significa essere un essere umano. Affermiamo la nostra umanità quando riconosciamo quella degli altri. Ubuntu aiuta alla comprensione del muntu = “uomo/persona”. Muntu è persona attraverso le altre persone. Si elabora così un concetto comunionale, relazionale dell’uomo, che definisce la persona, il suo valore sulla base delle sue relazioni con gli altri. Si comprende il muntu inserendolo nell’Ubuntu, una sorta di umanità comunionale o relazionale. E’ quindi una filosofia africana tradizionale che ci offre una comprensione di noi stessi in rapporto col mondo, in armonia con gli altri e con tutto il creato, credendo in un legame universale di partecipazione che lega e unisce tutta l’umanità.

Potremmo dire che ‘Ubuntu’ definisce ‘l’umanità’ per la cultura  africana. Questo concetto é stato studiato ed elaborato soprattutto in Sud Africa e in Ghana  ed  esprime il modo di vivere dell’essere umano africano.

Il pensiero di alcuni studiosi

Molti studi sono stati fatti su questo concetto. Alcuni autori lo esprimono anche con la frase: “Io sono perché noi siamo” (Prof J. Mbiti, 1963).

Il filosofo sudafricano Augustine Shutte (1993) scrive: “Questo proverbio è l’espressione Khosa di una nozione che é comune a tutte le lingue e tradizioni culturali africane.

Riguarda sia la particolare interdipendenza della persona dagli altri per l’esercizio del suo sviluppo e la realizzazione dei suoi poteri che sono riconosciuti nel pensiero tradizionale africano, come pure la comprensione di che cosa é l’essere persona che sottosta a questo principio”.

Ubuntu, spiega Nelson Mandela, contiene l’aspetto di rispetto, condivisione, fiducia, altruismo, collaborazione. “Siamo tutti legati – si afferma nel film sudafricano “In my Country” – chi tocca me, tocca te…; ciascuno di noi è parte dell’altro. Quando quel poliziotto fa male a me, lo fa anche a sé stesso. Lui sta facendo del male a tutto il mondo, ma anche a sé stesso”.

“Una persona con Ubuntu – dice Desmond Tutu – è aperta, disponibile agli altri, solidale con gli altri…sa….. che siamo feriti quando gli altri sono umiliati o feriti o torturati o oppressi”. Quando le condizioni di vita di una persona migliorano, tutti ne risentono in bene e se qualcuno è affamato, la risposta di Ubuntu è che siamo tutti collettivamente responsabili. “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”.

Ubuntu è invocato per determinare un senso più forte di unità e, nei rapporti sociali, per essere disponibili ad incontrare le differenze intrinseche dell’umanità dell’altro, esserne informati e arricchire la nostra.

Rito del saluto

E’ interessante notare che nell’ottica dello spirito di Ubuntu il rito del saluto assume un pregnante significato. La formula più diffusa è “SAWU BONA”, che significa “ti vedo”, cui si risponde: “SIKHONA” – “Sono qui”. L’ordine dello scambio di saluti è importante: finché l’altro non mi vede, io non esisto. E’ come se, nel momento in cui l’altro mi vede, mi donasse l’esistenza.  Significa esporsi l’uno all’altro (ti vedo/sono qui) e implica che tutti e due siamo disponibili ad incontrare l’altro, ad essere coinvolti in una relazione che ci arricchisce entrambi.

Questo fa capire quanto sia importante il saluto nell’incontro con una persona africana. Non può mai, e tanto meno in una corsia di ospedale o in trattative economiche o di riconciliazione, essere banalizzato dalla fretta o dalla superficialità perché compromette la relazione e quindi il dialogo.

“Essere con gli altri”

‘Ubuntu’ definisce il singolo sulla base dei suoi rapporti con gli altri. (Shutte, 1993: 46 ss). Essere una persona significa per definizione “essere con gli altri”. “Con gli altri non é un qualcosa di aggiunto a un essere pre-esistente e autosufficiente – osserva giustamente Macquarrie –  “piuttosto ambedue questi esseri: il sé e l’altro si trovano a far parte di un tutto in cui sono già in relazione” (1972: 104). “E la soggettività dell’uno si arricchisce nell’incontro con quella dell’altro rispettandone la natura dinamica e il naturale sviluppo. Quindi la percezione dell’altro, tipica di ‘Ubuntu’ non é mai rigidamente chiusa, al contrario é adattabile e aperta. Dà la possibilità all’altro di essere e di divenire. Siccome é un processo di auto realizzazione attraverso gli altri, favorisce nello stesso tempo l’autorealizzazione degli altri” (cf.anche Broodryk, 1997a:5-7).

Questo é confermato magistralmente dall’Arcivescovo Desmond Tutu con queste parole: “una persona con Ubuntu é aperta e disponibile agli altri, afferma gli altri, non si sente minacciata dal fatto che altri sono capaci e buoni, perché  questa persona ha una propria auto-assicurazione che deriva dal fatto di sapere che ella appartiene a un tutto più grande”.

Il concetto di ‘Ubuntu’ implica che abbiamo bisogno della presenza dell’altra persona. Nessuno é assolutamente più importante dell’altro, perché nessun uomo è completo o è capace di soddisfare i suoi desideri vitali senza dipendere in un modo o nell’altro da altre persone, dato che la vita è fatta di molteplici rapporti di complementarità per realizzare fini personali o sociali. Contrariamente al modo di concepire la persona nella cultura occidentale, nella cultura africana l’io e il mondo sono uniti e si mescolano in una rete di relazioni reciproche. (1996: 46-47)

Si passa dall’indipendenza dell’individuo all’inter-dipendenza, dalla solitudine alla solidarietà, dall’ “individualità in contrapposizione alla comunità” all’individualità per la comunità, come ben testimonia l’esistenza insostituibile per l’africano della famiglia allargata, del clan, dei rapporti con il villaggio di origine anche quando vive lontano in città e il modo di concepire la società.

A cura di Maria Magnolfi

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