Il vocabolario dei sentimenti

Per prendersi cura occorre abitare gli spazi di lavoro, trattenersi il tempo che occorre per sentire il proprio corpo, i propri sentimenti, i propri pensieri

Partendo dalla convinzione che sia sempre di più aprire spazi formativi e riflessivi che consentano a chi si prende cura delle persone e alle persone curate, di ritrovare il senso del lavoro e dell’esperienza che stanno vivendo, in questo contributo desidero soffermarmi sul significato di alcune espressioni che dovrebbero accompagnare la riscoperta della vita emotiva come parte importante del prendersi cura.

Augelli scrive un capitolo importante del testo “Il sapere dei sentimenti” dedicandolo a ESSERE PRESENZA che è la prima espressione del nostro vocabolario che vogliamo riaccreditare.

Nel testo l’autrice afferma che “..spetta ad ogni operatore il compito di abitare anche gli spazi organizzativi e i tempi del gruppo di lavoro per sviluppare un modo di saper stare insieme presso le situazioni, aiutarsi a sostenere le fatiche di essere presenti e per comunicare la gioia.

Una autentica presenza, continua, non si esaurisce nel fare, non è ridotta solo all’agire, ma legata al senso dell’esperienza che si sta facendo, accetta l’incertezza e l’impreparazione di fronte alla difficoltà risolutiva di certe situazioni.

Ci si dimentica che il lavoro di cura esige silenzi, soste, il non fare e il lasciar essere.

Coltivare il silenzio

L’espressione ha il significato di trovare tempo e spazio per la riflessione, per stare presso di sé e favorire una calma interiore che fa approdare ad altri territori e fa incontrare altri sguardi.

Significa poter stare in silenzio in molte situazioni, accettando di non avere parole per quella storia e per quella biografia e indirizzare il cuore a parlare magari attraverso le mani, per segnalare una vicinanza.

Occorre che gli operatori si facciano dono di un tempo quieto per pensarsi, guardarsi dentro, imparare da sé, senza separare la riflessione sui sentimenti, dai contenuti cognitivi del proprio lavoro.

Saper ascoltare e fare silenzio è la premessa di incontri fondati sul rispetto e il riconoscimento ed esprime la volontà delle organizzazioni di tenere in equilibrio il rigore procedurale con quello dei sentimenti.

Dare tempo ai pensieri

Accanto alla legittimazione del silenzio si avverte la necessità del tempo condiviso per partecipare alla riflessione sulla relazione di cura.

Il tempo ci serve per mettere in parola l’esperienza del lavoro e le tonalità emotive con cui gli eventi sono stati vissuti.

Il tempo serve al gruppo per imparare dall’esperienza e diventare professionisti riflessivi come Schon invita ad essere.

In questo fluire tra stare con se stessi, stare con gli altri, abitare luoghi e spazi e dare assistenza, si riacquista la capacità di sentire e sentirsi che va al di là di ogni irrinunciabile capire.

Raccogliere e narrare storie

Con questa espressione non vogliamo allinearci semplicemente a quanti sono impegnati nella diffusione e divulgazione della medicina narrativa tout court. La nostra attenzione è al metodo che consente ai sanitari di entrare in contatto con la biografia dei soggetti più che con le loro patologie per cercare di cogliere le sfumature che sfuggono a qualsiasi tradizionale raccolta anamnestica.

Questo vale, anche, per gli operatori: “Narrarsi, dice Rossi, è un po’ come parlare con se stessi, è ripercorrere e riattraversare la propria storia professionale essendo capaci di avere una visione critica del proprio itinerario di vita professionale. È riconoscere la propria ricchezza e i propri limiti, è accrescere il controllo sulle proprie incompiutezze, rettificare condotte e posture emotive scorrette. Imparare a raccontarsi significa anche imparare a raccontarsi altrimenti”.

La scrittura autobiografica è uno strumento privilegiato per la consapevolezza emotiva. Per Zambrano si scrive per fermare ciò che non può essere detto, mentre Demetrio ricorda che la scrittura è il luogo interiore di benessere e cura, consente di ridefinire la propria identità, reinventarsi, riprogettarsi.

Riappropriarsi dello sguardo e del volto

Accanto al silenzio, al tempo per pensare e al narrare occorre potenziare la responsabilità di vedere per accorgersi dell’altro come persona.

Il benessere dell’altro che è affidato alla cura degli operatori dipende anche dalla capacità di accorgersi della sua presenza, di sentirlo con il cuore e di non farlo diventare destinatario del silenzio, dell’indifferenza o della scortesia.

C’è un ascolto dello sguardo, che coglie quello del malato e per “il guaritore” è un invito al rispecchiamento, alla reciprocità

Iori suggerisce che comprendiamo la vita con la vita e le persone solamente incontrandole : c’è una responsabilità del contatto e dello sguardo a cui non possiamo sfuggire se vogliamo di nuovo ritrovare l’etica del lavoro di cura.

Diamo cittadinanza alle emozioni!

Ci sembra urgente prendere in considerazione la costruzione di una nuova cultura emozionale soggettiva e organizzativa perché l’affettività non è più questione che riguarda i singoli, ma tema portante per l’organizzazione.

L’intelligenza emotiva può essere una competenza che incrementa il capitale sociale e culturale.

Soddisfacendo il bisogno di ridare cittadinanza alle emozioni, attrezzando chi lavora di un adeguato corredo emozionale, può prendere l’avvio una diversa cultura del benessere e della sensibilità per nuove organizzazioni.

Un aiuto importante ci è offerto dalla formazione per la costruzione di un neoumanesimo organizzativo garante sia del riconoscimento dell’uguaglianza e dell’apprezzamento della singolarità di ogni persona, che di contesti lavorativi inclusivi che diano voce alla ricchezza distintiva di uomini e donne.

Una ulteriore riflessione per sottolineare che le organizzazioni stentano a riconoscere alle donne una sensibilità e competenza specifica nel lavoro di cura che deriva dalla loro competenza emotiva. Questo influisce sulla “invisibilizzazione” delle donne nei contesti lavorativi, costrette a rinunciare alla propria differenza rifacendosi a copioni maschili per essere accettate soprattutto se in posti di responsabilità.

La “mortificazione” dei saperi femminili è una povertà d’animo di molte organizzazioni che perdono così un contributo specifico per ottenere luoghi di lavoro dove possano emergere le invisibili sapienze delle donne.

Nuovi leader per nuovi gruppi

Nel riappropriarsi della personale capacità di sentire vogliamo sottolineare che un posto importante spetta al gruppo e ai leader.

La competenza emotiva gioca un ruolo strategico nel lavoro di squadra, nell’aiutare i singoli ad apprendere insieme.

La soddisfazione lavorativa è infatti influenzata dalla sensazione di appartenere a una rete che ascolta, educa, sostiene e a sa accogliere al suo interno insieme alle emozioni buone, anche quelle dolorose e stressanti, intollerabili, difficili

Non dare loro spazio annullandole in una prescrittiva omologazione non aiuta a recuperare armonia e equilibrio.

Occorre potenziare una cultura riflessiva e narrativa dei gruppi, in grado di dare vita a contesti impegnati a trovare idonei spazi e tempi perché l’intelligenza emotiva è educabile.

Sarebbe confortante osservare momenti formativi dedicati alla dolcezza, all’ascolto e al sentirsi bene.

Un contributo specifico è poi rappresentato dalla figura del leader orientato verso le persone, intenzionato a sostenere l’anima al lavoro.

Più di ieri si richiede al leader il possesso di un’adeguata maturità emotiva, la capacità manageriale di far esprimere dubbi, riserve, difficoltà e tollerare questi elementi favorendone la verbalizzazione senza spaventarsi. Perché lo stile del leader è contagioso: non di rado le sue difficoltà si diffondono a vari livelli dell’organizzazione generando a volte sofferenza e disagio.

Oggi gli elementi migliori non dirigono solo grazie al potere ma perché eccellono nell’arte delle relazioni.

La leadership autorevole si distingue per responsabilità e impegno, fornisce un perché a ciò che si fa, promuove impegno convinto, aiuta a vivere l’esperienza organizzativa da protagonisti.

Il potere equilibrato è contrassegnato dalla disposizione a emancipare, a incoraggiare, a delegare, a distribuire le responsabilità.

Goleman sostiene che ai fini aziendali, i punti di forza o debolezza di un leader nella competenza emotiva, possono essere misurati in termini di guadagno o perdita dei talenti dei suoi collaboratori.

Nella cultura organizzativa e nel processo di aziendalizzazione dei servizi e della cura, la competenza affettiva è stata discriminata, esclusa o lasciata alla sensibilità individuale, ritenendola accessoria. Crediamo fermamente che per realizzare il cambiamento necessario a rifondare un patto tra cittadini e professionisti della cura, sia necessario passare dalla retorica del curare con sentimento, al curare i sentimenti.

Marta Bernardeschi

Bibliografia

Augelli “Abitare la situazione: essere presenza” in Il sapere dei sentimenti a cura di V.Iori Franco Angeli Milano

C.Sità “fare spazio alla vita emotiva nei luoghi della cura” in Il sapere….op.cit.

B.Rossi “Lavoro e vita emotiva” Franco Angeli 2010

D.Goleman “Lavorare con intelligenza emotiva. Come inventare un nuovo rapporto con il lavoro” trad. it, Bur,Milano 2006

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