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Il trapianto di cuore: l’inizio di una nuova vita

La medicina dei trapianti è ormai diventata una delle specializzazioni di avanguardia nella scienza biomedica

Nello specifico il trapianto di cuore rappresenta oggi la soluzione terapeutica di una serie di cardiopatie gravi nelle quali le terapie farmacologiche e non farmacologiche alternative non sono più in grado di assicurare una sopravvivenza e/o una qualità della vita adeguata.

Ricevere un organo come il cuore che restituisce la vita, non si limita alla sostituzione di un muscolo ma comporta un vissuto ricco di sfumature esistenziali.

Il trapianto di cuore ha una sua particolare dimensione nella quale si intrecciano implicazioni non solo corporee e psicologiche ma anche culturali e spirituali: camminiamo quindi su un terreno squisitamente antropologico.
Gli stessi pazienti sottoposti a trapianto cardiaco definiscono la loro esperienza come “una nuova nascita”. Di nuova nascita parlava Gesù a Nicodemo nell’Evangelo di Giovanni (cap.3) riferendosi alla conversione quindi ad un cambiamento spirituale decisivo.

Possiamo parlare di un cambiamento interiore in chi riceve un organo, in questo caso un cuore?

L’antropologo Lesley A. Sharp, in una sua pubblicazione, definiva il trapianto d’organo come un’esperienza trasformativa. Nella sua analisi antropologica dava enfasi alla “ristrutturazione” del sé, della propria identità nel paziente trapiantato di cuore.

Sicuramente il trapianto di cuore porta ad un cambiamento di vita notevole in chi aveva davanti a sé come unica alternativa una prognosi infausta.
Per lungo tempo il trapianto d’organi è stato reclamizzato negli Stati Uniti come una procedura miracolosa per il miglioramento della qualità e della longevità della vita.

Potremo anche considerare il trapianto come un rito di passaggio nel quale la fase liminare è rappresentata dall’attesa della donazione, una fase alquanto difficile, sofferta e conflittuale. Questo rito si conclude con il raggiungimento di un nuovo “status” nel quale il paziente scopre risorse spesso sorprendenti.
Lo slogan scelto dai pazienti per rappresentare l’Associazione dei trapiantati di cuore a Bologna è “..e la vita rinasce”. Poche parole per dire tante cose.
Chi riceve un cuore ha tanto da narrare sul suo vissuto.

E a noi spetta l’onore di ascoltare

  • Angelo. E’ in lista d’attesa per trapianto di cuore. Dice sorridendo: “spero che il mio cuore sarà conservato perché ha molto amato”
  • Giovanni. Viene trapiantato di cuore in urgenza. A tre mesi di distanza dall’intervento finalmente torna nel suo paese di origine in Calabria. Sta bene. Prima di partire esprime un dubbio con un filo di umorismo: “chissà se, oltre a stare meglio con questo nuovo cuore, proverò nuovi sentimenti ?”
  • Maurizio. Trapianto combinato cuore/fegato. A distanza di mesi dall’intervento la moglie ci riferisce: “mio marito si dimentica di avere trapiantato anche il fegato. Ma pensa sempre al cuore che gli è stato donato”
  • Tommaso. Trapianto di cuore con un decorso clinico post-operatorio molto travagliato. Finalmente dimesso scrive un biglietto di auguri all’equipe che lo ha seguito: “In occasione della ricorrenza delle prossime feste, faccio a tutti voi i miei più sentiti auguri di vero cuore nuovo con infinita gratitudine”
  • Vittorio. Dopo alcuni anni dal trapianto di cuore: “forse il trapianto di cuore non ci cambia come persone ma sicuramente ci porta ad avere una nuova visione della vita apprezzandone maggiormente i valori”
  • Gabriele. Firma per essere inserito in una lista d’attesa per trapianto di cuore dimostrando serenità per questa decisione terapeutica: “sapevo che avrei dovuto superare diversi bivi che mi avrebbero poi condotto ad una strada a senso unico al termine della quale mi aspettava il trapianto. Mi hanno preparato a questo. Adesso sono pronto”. Ma Gabriele non sapeva che avrebbe dovuto aspettare otto mesi ricoverato in una degenza cardiologica perché le sue condizioni erano troppo critiche. In quel periodo conobbe diversi pazienti chiamati per sottoporsi al trapianto e li salutò alla loro dimissione. Passò attraverso diverse fasi in cui la speranza si alternava ad una depressione così forte da isolarsi completamente dagli altri. Quando finalmente arrivò la donazione per lui sembrava un sogno. L’intervento fu un successo. Arrivò il giorno della dimissione e Gabriele fu paradossalmente riluttante all’idea di tornarsene a casa non perché non sentisse il beneficio dell’intervento quanto perché temeva di lasciare quel guscio ospedaliero che tutto sommato lo faceva sentire protetto e al sicuro. Sul giornale del mattino uscì un suo scritto: ” A Bologna, nel cuore del S. Orsola hanno preso a cuore i miei problemi di cuore. Mi hanno dato tanta speranza, una vita migliore, grande serenità e un cuore nuovo. Grazie con tutto il cuore. Gabriele.” A distanza di due mesi dall’intervento, Gabriele affermava con entusiasmo di non avere avuto problemi ad inserirsi nella vita sociale e relazionale. Ciò che l’aiutava era lo stato di benessere soggettivo di cui era sempre più consapevole: “rendermi conto che sono in grado di fare determinate cose mi stimola a eseguirle… adesso anche la memoria del vissuto travagliato prima dell’intervento inizia a sbiadirsi. Ormai sto lasciando tutto dietro alle spalle per ricominciare a vivere normalmente. Voglio riprendere presto la mia attività lavorativa”. Sono trascorsi 7 anni da allora. Oltre a continuare la sua attività lavorativa, Gabriele è vice presidente dell’Associazione trapiantati di cuore di Bologna. E’ un punto di riferimento e di coraggio per tanti altri pazienti che accedono al nostro centro.
  • Gianluca. Tratto dal suo libro “in gara per la vita”, ricordo 31 a pg 77: ” In alto i nostri cuori, sono rivolti al Signore!” scandisce un coro uniforme. Questa frase mi fa un certo effetto, fin da bambino alzavo le mani correndo per casa gridandola in continuazione…forse per il senso insito di speranza che reca in sè…mi immagino a sollevare il mio piccolo vecchio cuore con corallo di calcio al suo interno, ora dimorato nel reparto di istologia, e sentire nello stesso tempo la forza del dono immenso che mi è stato offerto. Posso camminare per ore, ad appena un mese dall’intervento, senza andare in affanno. Sento i polmoni riempirsi sempre più, tutto il fisico rispondere a questo motore nuovo che sta alimentandomi. E nel sollevare quel piccolo cuore che mi ha accompagnato per quarantatre anni ringraziare, in silenzio, oggi e per il tempo a venire, la persona, mi dicono un ragazzo giovane, che nella sua disgrazia ha salvato la mia vita. Nella miriade di motivi, con molti pro e pochi contro, che si possono inventare parlando di donazioni, uno solo mi aiuta a rendere il reale valore di questo gesto. Salvare una vita, a volte più vite. L’immensità del tuo gesto a favore dell’umanità, senza riserve. Grazie ragazzo. In alto il tuo cuore regalato per la mia vita”. Dal ricordo 32 pg 78: “sono appena passati 4 mesi dall’intervento. Mi piace vedermi allo specchio e ogni settimana notare dei miglioramenti. Camminate, cyclette, appena possibile riprenderò la bici da corsa ed una pesistica leggera..credo che chiunque mi incontri possa leggere nello sguardo che ho verso il mondo lo stato di grazia di questo periodo della mia vita. Tanto che mi è stato chiesto di far parte, assieme ad un gruppo di ragazzi e ragazze trapiantati d’organo, ad un progetto nel quale i nostri volti saranno i testimonial per l’anno 2012 per la campagna di sensibilizzazione sulle donazioni e i trapianti”
  • Armando. Tratto dal suo libro “Il trattore e la carriola”. Da pg 137 : “ormai è notte ma, preso dall’agitazione di avere saputo chi è stato a donarmi il cuore, non ho assolutamente sonno…rifletto sulla faccenda. Riprendo il giornale in mano, lo sfoglio osservando la foto di quel rottame di macchina col tetto sollevato…sotto ritrovo la foto di Federico con quello sguardo serio. No, mi sembra più severo che serio. Mi fissa dritto negli occhi e più lo fisso, più il suo sguardo mi penetra nella testa facendosi accusatorio. “ah ecco! volevi portarmi qua, davanti a questa foto, per farmi sentire nuovamente in colpa? Beh, ci stai riuscendo sai?” penso angosciato. Da pg 145: “nel buio della camera, la mia mente mi ripropone lo sguardo severo di Federico che mi fissa con fare intimidatorio. È un immagine sempre più presente che mi porta a chiedermi: “ma io adesso chi sono? sono ancora io? sono Federico? sono un’altra persona? questo pensiero dubbioso mi sorge pensando anche a quello stato d’animo provato durante la preparazione all’intervento, in cui avevo perso la dignità di persona, in cui mi consideravo solo un pezzo di carne, di materia: allora chi sono diventato adesso? non sono certo Federico: ho solamente il suo cuore e in ogni caso, non potrei essermi trasformato in lui. Ma sento di non essere nemmeno più Armando: centrifugato in un’esperienza che non mi sarei mai immaginato e pezzo per pezzo, comincio a essere simile ad una macchina alla quale sono stati sostituiti parti di ricambio e quindi non è più integra. Ma chi sono? continuo a chiedermi, tormentandomi”. Da pg 245: “Lo sguardo di Federico non mi accusa più da tempo: lo trovo sempre sereno, a volte sorridente. Ripenso ai tormenti che mi ha dato i primi tempi, ai pianti quasi disperati nel sentirmi in colpa per la sua morte, al senso di vuoto che aveva lasciato anche in me che non lo conoscevo. Non che ora le cose siano tutte rose e fiori, ma il tempo trascorso nel tentativo di metabolizzare questa cosa che mi aveva travolto senza nemmeno lasciarmi il tempo di elaborarla e gli incontri di gruppo, ma soprattutto le chiacchierate con lo psicologo, avevano fatto sì che ora, anche se in modo impreciso e ancora un po’ ballerino, l’ago della bussola ricominciasse a indicarmi il nord. Ne sono felice.”

Queste narrazioni di vissuti ci inducono a riflettere sul forte impatto emotivo, psicologico e simbolico che il trapianto di cuore ha sulla persona. Ed è proprio la persona il reale fulcro dello studio antropologico in cui la malattia, la morte, il corpo e il valore del dono diventano questioni fondamentali.

“Je ne veux pas savoir de quelle patrie tu viens, je ne veux pas savoir de quelle religion tu es, tu souffres et cela me suffit“. (Pasteur)

Gianna Canu

infermiera nel centro trapianti di cuore del Policlinico S. Orsola/Malpighi. Bologna

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