Il tempo e la pazienza degli indios
Su Popoli e Missione, l’intervista a fra Paolo Maria Braghini, missionario francescano cappuccino in Amazzonia, tra gli Indios Ticuna
La speranza è una cosa che si porta dentro e rende il viaggio più leggero. Lo sa bene fra Paolo Maria Braghini, classe 1976, missionario francescano cappuccino che da quasi vent’anni raggiunge in canoa più di 70 villaggi nel profondo dell’Amazzonia, al confine tra il Brasile e il Perù.
Nell’Alto Solimões, più che camminare bisogna pagaiare (anche per giorni), ma «un pellegrino della speranza non si ferma mai, anche perché siamo in una regione del Brasile totalmente trascurata e, se non ci fosse la presenza della Chiesa, non ci sarebbe assolutamente nulla».
In questa fetta di mondo, inoltre, un pellegrino della speranza «sente anche la stanchezza; a volte, gli vengono i calli o le piaghe ai piedi. Nelle zone più estreme, è a rischio della vita, ma tutto questo fa parte della vita missionaria».
Pellegrini di speranza ogni giorno
Dal 2005, frei Paolo, originario della provincia di Varese, vive a Belém do Solimões, in una parrocchia totalmente indigena, abitata prevalentemente dai Ticuna e da comunità di etnia kokama. Quella dei frati è una quotidianità fatta di preghiera intensa e di vita comunitaria, in cui ci si prende cura di tutti. «Anche dei più lontani, da cui si va nonostante la fatica», dice il missionario, appena rientrato da un giro di 4 giorni in luoghi dove mancano Internet e tutto il resto.
«Il nostro, infatti, è un lavoro non solo pastorale e di evangelizzazione, ma anche di promozione umana, perché qui siamo abbandonati. Non c’è acqua potabile né corrente elettrica; mancano strade, ponti. I ragazzi arrivano a 18 anni senza saper leggere; la polizia è assente e i trafficanti di droga stanno portando alla morte tanti giovani»
Alla vigilia di questo Giubileo, quindi, i desideri degli indios sono tanti. In sintesi, «avere semplicemente ciò che è normale altrove. Ci vorrà molto tempo, ma la speranza ha pazienza» e serve che il Governo cominci a preoccuparsene.
«Alla luce di ciò, qui ci sentiamo pellegrini della speranza sempre, e non solo per il Giubileo. Con allegria, siamo accanto al nostro popolo, la nostra fraternità allargata».
Sono i poveri che ci insegnano a sperare
Gli indios sono compagni di viaggio semplici, ma che sanno camminare insieme. Wü’iwa, come si dice nella lingua Ticuna.
«Anche se la speranza viene da Dio e dalla preghiera, sono proprio loro – gli esclusi della società – che tante volte ci aiutano a riaccenderla quando questa viene meno. Con lo Spirito Santo funziona così», sorride grato fra Paolo.
Lui che ha risposto a una chiamata forte, scegliendo di lasciare tutto e di donarsi “totalmente al regno di Dio e alla missione”, tra i poveri ha trovato le ragioni della speranza: in un pellegrinaggio «che ha come meta la vita eterna, oltre che una società più giusta, con più pace e più rispetto per la natura».
È il sogno sociale di cui parla papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Querida Amazonia, pubblicata in seguito al Sinodo dei vescovi per la regione pan-amazzonica del 2019.
Il nostro giubileo
Quando a Roma si aprirà la Porta Santa, molto sicuramente, gli abitanti di questi villaggi si troveranno in quella che loro chiamano “Torü Naãne”, nostra Terra.
«Lo vivremo, lo celebreremo – e sarà molto bello – ma il come non lo sappiamo ancora», dice il frate cappuccino, riferendosi alla loro piccola parrocchia. «A fine novembre [ndr] non abbiamo ancora fatto nessun calendario; inizieremo quando incontreremo tutti per la formazione e spiegheremo nella loro lingua cos’è il giubileo. Diversamente dalla mentalità europea per cui tutto è già pianificato, qui ogni giorno è una lotta e si va avanti passo dopo passo, seppur con molta fiducia», spiega.
E, intanto, si continua ad essere testimoni di speranza fra le genti, soprattutto laddove la strada maestra conduce ai crocicchi e alle periferie più abbandonate.
Fra Paolo è già pronto a riprendere la sua canoa sul Rio delle Amazzoni. «Entriamo nei tanti affluenti dove nessuno, tranne noi missionari, arriva. Che senso ha la nostra presenza? Non si sentono più soli, ma amati». E in quel preciso istante, in quell’incontro, si spalanca la porta del cuore e ha finalmente inizio il Giubileo della gioia e della speranza.
(Loredana Brigante, Popoli e Missione, 1/25, pp. 20-21)
Fonte
-
Popoli e Missione
Immagine
- Fra Paolo Maria Braghini