Esserci…
Comprendere i Bisogni Spirituali e Offrire Accompagnamento Dignitoso nella Fase di Fine Vita
Premessa
La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’articolo 18 stabilisce che:” ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o di credo e la libertà di manifestare isolatamente o in comune e sia in pubblico che in privato la propria religione, il proprio credo, nelle pratiche e nel culto e nell’osservanza dei riti”.
Il Morire riguarda in primo luogo la relazione, la relazione che abbiamo con noi stessi, con le persone che amiamo, con “DIO” lo Spirito, La Vera Natura o con ciò che comunque rappresenta per noi la bontà fondamentale. (Frank Ostaseski)
Si può definire la spiritualità come l’insieme delle aspirazioni, delle convinzioni, e dei valori che contribuiscono ad organizzare in un progetto unitario la vita dell’uomo, imprimendo un orientamento al suo modo di situarsi nei confronti della realtà. (Cancian M., Lora Aporile P.)
Questa introduzione è per descrivere quanto sia doveroso ed “etico “comprendere i bisogni spirituali delle persone nella fase di fine vita ed accompagnarle ad una morte serena e dignitosa.
Accompagnare…
Bisogni che riguardano la sfera di ricercare un significato della vita e dell’esperienza vissuta all’avvicinarsi della morte, di trovare un senso a quanto gli accade. Bisogno di continuare ad essere considerato un “soggetto” nonostante la malattia provochi una minaccia all’integrità fisica, psichica e spirituale. Bisogno di riconciliazione con il passato, bisogno di sentirsi in appartenere ad un gruppo (famiglia, associazione …) con il quale si condividono affetti, valori, ideali. Bisogno di rispondere ad interrogativi esistenziali di dire addio in maniera serena e di prendere decisioni morali appropriate.
Bisogni che richiedono un adeguato accompagnamento spirituale che non deve per forza essere espletato da un operatore pastorale ( sacerdote, rabbino …. ) ma che può estendersi a tutti i membri dell’equipe terapeutica che assistono la persona in fase di fine vita in quanto al momento della morte sia il credente che il non credente si interrogano su : la scala dei valori a cui aderisce, si pongono interrogativi sul senso della vita e della morte, sulle sofferenze e sulla gioia , si domandano il perché della presenza della morte .
Le risposte degli operatori si concretizzano con: prendere atto del bisogno spirituale del malato, con l’instaurarsi di una profonda relazione, con la presenza nel territorio del mistero e delle domande senza risposta, con l’aiuto a scoprire la propria verità anche se potremmo non condividerla.
Significa “esserci” poiché il travaglio spirituale ha bisogno di un testimone.
Queste esperienze vissute in un ambito di comunità italiana e slovena che si uniscono nel territorio carsico testimoniano e descrivono la diversità, la complessità, la difficoltà ma anche la ricchezza dell’operato degli infermieri e dei medici che accompagnano la persona in fase di fine vita.
Gaia ha appena 40 anni e, un tumore ovarico con metastasi peritoneali che bloccano l’intestino, non riesce più ad alimentarsi e nemmeno ad evacuare. Quando la conosciamo si è appena trasferita a casa dei genitori, dopo una diagnosi che non lascia scampo, per ricevere sostegno e aiuto. I nostri primi incontri avvengono per garantire un supporto nutrizionale tramite un’alimentazione parenterale e la somministrazione di farmaci antidolorifici ed antiemetici per via endovenosa. È molto chiusa e riservata ma il contatto giornaliero per quasi tre mesi ci permetterà di conoscerla meglio e di accompagnarla verso il suo ultimo viaggio. Un viaggio difficile e tortuoso fatto di non accettazione della malattia, di un amore per l’arte, di una voglia infinita di vivere e concludere progetti, di una forte volontà a rimanere al proprio domicilio nonostante molteplici complicazioni dal punto di vista clinico. Ad accompagnare Gaia in questo viaggio, oltre agli infermieri dell’assistenza domiciliare e al medico palliativista e ai genitori c’è il fratello.
Il fratello ha compiuto per molti anni un percorso spirituale e Gaia condivide con lui questa strada. Non credono in un “Dio” ma negli elementi della natura che si concretizzano con tecniche di meditazione e auto guarigione ed esercizi di respirazione. Gaia ha una chiusura con il mondo esterno, concentrandosi solo su quello interno della sua casa e del suo corpo, vive anche il dolore con estrema intimità e riservatezza. Si concentra sul respiro per espellere il male e far uscire dal suo corpo tutte le sostanze fisiologiche che sono bloccate. Sente telefonicamente ogni giorno il fratello e riceve le sue visite periodicamente come supporto spirituale. Ma all’avvicinarsi della morte inizia a farsi delle domande e si appoggia molto ad una infermiera che lei ha scelto e che quotidianamente l’assiste, le chiede: “come avviene il distacco?”, “quali sintomi e/o segni lo accompagnano?”, “cosa si prova ad andare al di là?” L’infermiera ascolta, non giudica, la rassicura e risponde per quanto possibile alle sue domande. Morirà serenamente nel sonno dopo tre mesi, con la presenza dei genitori. Il suo viaggio è terminato, il nostro continua ancora con la partecipazione al funerale e l’accompagnamento della madre in cimitero per portare la luce sulla tomba.
La morte è come entrare in una palude, ovattata, nebbiosa ma serena. Quella porta che si chiude piano e lascia alle sue spalle le insensatezze della vita (Rita, infermiera della assistenza domiciliare).
Giovanni e Tatiana sono una coppia speciale, vivono in un piccolo paese sul carso in una casa con il giardino e fanno parte della minoranza slovena. Lui artigiano falegname, lei artista. Un grande amore li unisce, lui taglia il legno, lei lo modella, e le sue creazioni che riproducono l’ambiente rurale in cui vivono abbelliscono la casa e quelle dei loro amici e concittadini. Si amano molto, formano una famiglia e crescono due figli, e dopo una vita passata insieme per più di cinquant’anni si ammalano anche insieme, di demenza ed Alzheimer. Malattia che li costringe ad una progressiva immobilità fisica e mentale, ma i figli scelgono di mantenerli nelle loro case di origine fino alla fine con l’aiuto di due badanti. Le condizioni di Giovanni ormai ottantenne iniziano a peggiorare, negli ultimi due mesi non riesce più ad alimentarsi e i pochi bocconi che riesce a deglutire vanno in trachea provocando vari episodi di abingestis. Le infermiere che si recano al domicilio per la terapia idratante ed il monitoraggio dei parametri trovano una famigli unita, attenta ai bisogni dei propri genitori consapevoli dell’avvicinarsi della fine della vita ma anche determinata a mantenere vive le tradizioni. La porta di casa è sempre aperta, il dolore si condivide insieme a parenti e amici davanti ad una tavola imbandita, tra questi un sacerdote che partecipa spontaneamente all’accompagnamento, con la recita delle preghiere e frasi di incoraggiamento. Una candela rimane accesa notte e giorno fino alla fine. Giovanni ci lascia pochi giorni fa, con grande dolore della famiglia, ma anche con molta serenità da parte dei figli che lo hanno visto morire nel suo letto, in una mattina di primavera, con la finestra aperta sul giardino mentre entrava il profumo dei fiori ed il canto degli uccelli e la nipotina gli portava un mazzo di margheritine. Per elaborare il lutto, la tradizione, prevede una messa cantata, un funerale con la banda, che suona lungo le strade del paese, ed un pasto consumato tutti insieme dopo la sepoltura in cimitero fino a tarda notte. Sulla tavola non può mancare pane prosciutto e un buon vino per dire addio al proprio caro.
Queste esperienze vissute continuano ad insegnarci che l’accompagnamento spirituale costituito da tradizioni e riti è importante tanto quanto la terapia del dolore ed il controllo dei sintomi.; e, che significa, non voltare le spalle anche nei momenti più difficili ma rimanere presenti con atteggiamenti rispettosi, nel territorio del mistero e delle domande senza risposta.
Raffaela Fonda – Infermiera
Fonte dell’articolo