Domenica XXXII Anno B – Alla scuola dei poveri
Letture: 1 Re 17,10-16; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
La prima Lettura (1 Re 17,10-16) ci presenta una povera vedova di Zarepta che, ai tempi di Elia, rinuncia a tutto quello che ha per fede nella Parola del Signore. Nel Vangelo (Mc 12,38-44) Gesù pone a modello dei discepoli un’altra povera vedova, che offre a Dio nel Tempio “òlon tòn bìon autès” (v. 44), non tanto: “tutto quanto aveva per vivere”, ma letteralmente: “tutta la sua vita”!
La povertà è condizione indispensabile per dare a Dio “tutta la nostra vita”. Al contempo la povertà è davvero sacramento della fede. L’abbandono dei beni per chi crede non è essere scelta volontaristica, faticoso sforzo di autoperfezionamento: è la gioiosa conseguenza di avere scoperto il Regno di Dio, con la sua dinamica di amore, di condivisione fraterna e di dono, come un tesoro impagabile, come una perla preziosa per la quale merita rinunciare a tutto (Mt 13,44-46). Solo chi accoglie dentro di sé la felicità del Regno di Dio lascia tutto per esso. La condivisione con i poveri è segno dell’essersi innamorati di Dio e, in lui e per lui, dei fratelli.
Ma oggi Gesù ci dice qualcosa ancora di più grande: ci invita a prendere esempio dai poveri. Rispondere alla chiamata alla condivisione con i poveri apparentemente sembra un dono fatto a loro. Ma in realtà sono i poveri che colmano i credenti di una ricchezza ben più profonda e piena di quella che questi con essi spartiscono.
“Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20): se il Regno di Dio è dei poveri, è alla loro scuola che bisogna mettersi per potervi accedere. Non dimentichiamo mai questo mistero: sono essi i maestri per entrare in quella beatitudine che è “loro”. “La storia dei poveri sembra rovesciarsi… I senza voce parlano e mettono in discussione la maniera di essere cristiani, di essere sacerdoti o vescovi… I poveri diventano evangelizzatori… «Essi sono i soli a poter dire una parola di fede senza la quale il messaggio resterà troppo incompleto» (E. Grangier)… «E’ ai piccoli, a coloro che non possono parlare o che non li si lascia parlare, che è data la parola da Dio, perché essi annuncino il suo regno. La follia della croce è morte per l’intelligenza dei saggi, di coloro che non capiscono la parola. Una riflessione sulla fede che non passi… per la rivelazione ai poveri, sbaglia strada» (G. Gutierrez). E la chiesa dei poveri, la parte più martire dell’unica chiesa, diviene evangelizzatrice e missionaria. «Perché la povertà è come una grande luce in fondo al cuore» (R.M. Rilke)” (A. Persic).
Scriveva monsignor Bello, citando la lettera pastorale di un Vescovo della Patagonia, monsignor Hesayne: “«Desde los pobres a todos», cioè: dai poveri a tutti!… È un atto di fede nell’imprevedibilità del nostro Dio che, per annunciare e realizzare le sue meraviglie, non utilizza necessariamente truppe scelte, sfornate dall’accademia, ma si serve degli straccioni, dei diseredati, della gente che non conta e che viene disprezzata. Proprio questa gente, questa accozzaglia di ultimi, ha il compito e il privilegio di annunciare ai primi che la salvezza è vicina”.
E oggi più che mai, al nostro Occidente opulento e triste, supertecnologico e privo spesso di sapienza, i poveri ricordano tanti valori che abbiamo perduto. L’Africa ci insegna l’amore per la natura, la vita, gli antenati, il senso della festa. L’Asia e l’Oceania la ricerca dell’assoluto di Dio, della pace interiore, dell’armonia, la gratuità. L’America Latina l’attenzione agli ultimi, la lotta per la giustizia, il senso della vita comunitaria e della condivisione. E tanti poveri anche nei Paesi ricchi sono per noi maestri di semplicità, di essenzialità, di saper godere delle piccole cose, di solidarietà reciproca.
Solo alla scuola dei poveri si può imparare la sequela di Colui che è si è fetto il Povero per eccellenza (2 Cor 8,9), ed è così diventato l’unico Sacerdote tra Dio e gli uomini (seconda Lettura: Eb 9,24-28).