Domenica XXX Anno B – La Fede In Gesù Squarcia Le Nostre Tenebre

Letture: Ger 31,7-9; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

Come la guarigione del cieco di Betsaida (Mc 8,22-26) precedeva la confessione di Pietro (8,27-30) e il primo annuncio della Passione (8,31-33), così la guarigione del cieco di Gerico precede la proclamazione di Gesù come Re-Messia da parte delle folle di Gerusalemme (11,1-11) e la successiva Passione del Signore (14-15).

Il cieco di Gerico chiama Gesù “Figlio di Davide” (10,48), così come le folle (11,10): è un titolo messianico (2 Sam 7; Ger 23,1-6; 33,14-18; Zc 3,8; 6,12…) che appare 19 volte nei Sinottici e mai in Giovanni, e che connota un messianismo glorioso, regale; ma Gesù è il Messia sofferente, che darà salvezza solo attraverso lo “scandalo” della Croce (1 Cor 1,23). Per capire ciò che accadrà a Gerusalemme, cioè la Passione e Morte del Signore, bisogna che Dio ci apra gli occhi (10,52), che ci renda lui capaci di accettare il mistero di una salvezza che passa attraverso l’umiliazione e la croce.

Ma nella guarigione del cieco di Gerico è simboleggiato anche il cammino di fede di ogni uomo: senza la luce di Dio, ciascuno di noi trova in situazione disperata, “cieco, seduto lungo la strada a mendicare” (10,46). È la situazione del nostro mondo incapace di trovare un senso alla vita, attanagliato dal buio dell’angoscia e della paura, oppresso dalla miseria e dalla morte; e tutti mendichiamo alla vita una qualche sopravvivenza, stordendoci nel divertimento, nella corsa al denaro, al piacere, al potere, alienandoci in mille frivolezze: ma alla fine ci ritroviamo soli, al magine della strada, nelle tenebre…

Ma per fortuna Gesù, il Salvatore profetizzato da Geremia nella prima Lettura (Ger 31,7-9), l’unico Sommo Sacerdote capace di intercedere per noi (seconda Lettura: Eb 5,1-6), “passa di là” (Mt 20,30): è Dio che prende l’iniziativa, che viene incontro alla nostra miseria, che scende dai suoi cieli a soccorrerci. Dio ode il disperato grido di aiuto dell’uomo, ma questi ne intuisce soltanto la presenza (“al sentire che c’era Gesù Nazareno”: 10,47).

Le potenze mondane contestano però apertamente l’apertura dell’uomo a Dio (“Molti lo sgridavano per farlo tacere”: 10,48): Dio non c’è, e se c’è non può sentirti, è inutile ricorrere a lui… È necessaria quindi perseveranza, insistenza, nella ricerca del Signore, senza lasciarci scoraggiare (“ma egli gridava più forte”:10,48).

Gesù “si ferma” (10,48) accanto all’uomo; non lo chiama però direttamente, ma per il tramite della Chiesa (“Chiamatelo!”: 10,48): la Chiesa ha il compito di portare un annuncio di salvezza che non è suo, ma che le è stato affidato, e non deve intimorire gli uomini ma far loro “coraggio” (10, 49) nella ricerca del Signore.

Noi ciechi siamo quindi chiamati a conversione: occorre che gettiamo via il mantello (10,50), che cioè “ci spogliamo dell’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici…, e rivestiamo l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,22-24); occorre che risorgiamo interiormente (“balzò in piedi”:10,49), e che andiamo con fede da Gesù (10,49.52).

Allora ci viene chiesto l’impegno finale: di fronte alla stessa domanda di Gesù (“Che vuoi che io faccia?”: 10,36.51), Giacomo e Giovanni avevano chiesto un posto glorioso, il cieco, tipo del vero discepolo, domanda invece la luce di Dio, la comprensione del mistero della salvezza. E “subito riacquistò la vista” (10,52): solo Dio è la luce che vince la tenebra (Gen 1,3.18; Es 14,20; Sl 27,1; 1 Gv 1,5…): solo Gesù è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9; cfr 3,19; 8,12): che anche noi sappiamo “subito… seguirlo per la strada” (10,52), con prontezza ed entusiasmo come il miracolato di Gerico, per non meritare la condanna di quanti “hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3,18-21)!

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