Domenica XXVII Anno B – Il Matrimonio, Mistero Di Salvezza
Letture: Gen 2,18-24; Eb 2,9-11, Mc 10, 2-16
La Chiesa ha da fare al mondo una meravigliosa rivelazione riguardo al matrimonio: eppure tra i cristiani, con evidente schizofrenia verso la Parola ricevuta, spesso il matrimonio è ancora visto come una realtà di ordine eminentemente sociologico, una specie di scelta di “serie B” in confronto al celibato, quando non addirittura come puro “remedium concupiscentiae”, legalizzazione di quella sessualità che ha pur sempre in sé qualcosa di impuro se non di demoniaco. In pochi campi come questo la Chiesa paga un pesante tributo alla mentalità mondana, o perché ha accolto nel suo seno, più o meno consciamente, filosofie che tendevano a disprezzare la sessualità e il matrimonio, o perché, in opposizione a tendenze lassistiche e libertine, ha preferito arroccarsi talora in posizioni di svalutazione o di rifiuto, piuttosto che aderire con fede gioiosa alla rivelazione ricevuta a riguardo.
La fonte jahwista del racconto della creazione (X secolo a.C.), ci afferma anzitutto che l’essere unico creato da Dio, l’adam, è composto da due “lati” (Gen 2,18-24: Prima Lettura): la parola ebraica che noi traduciamo “costola”, “sl”, meglio andrebbe tradotta proprio come “lato”. L’adam si compone di un lato maschile e di un lato femminile: l’adam è quindi la coppia! Ne consegue innanzitutto che l’uomo è ontologicamente comunione, che l’uomo è amore: ed è stupefacente che la prima parola dell’uomo nella Bibbia sia proprio un inno di lode per la propria sessualità (2,23).
Inoltre i due lati dell’adam sono intrinsecamente chiamati all’unità: ognuno dei due, da solo, non è “l’uomo”; la “persona” umana (“carne”, “basar”, equivale per il semita al concetto di “persona”: 2,24) si realizza nella comunione matrimoniale, in cui i “due” diventano “uno”.
I due lati dell’adam sono infine in assoluta parità: lo sottolinea l’assonanza di parole del v. 23b:” La si chiamerà “‘ishsha” perchè dall’ “‘ish” è stata tolta”.
La fonte sacerdotale, più recente (VI sec.a.C.), non solo rafforzerà il dato jahwista sulla sessualità e sul matrimonio, ma lo aprirà al più profondo significato teologico: solo l’adam, unione del maschio e della femmina, è a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26-18)! I profeti poi (Os 2,16-22; Ct…) espliciteranno che il matrimonio è segno-sacramento dell’amore di Dio per gli uomini, e il Nuovo Testamento vedrà in esso l’icona dell’amore di Cristo per la Chiesa (Ef 5,21-33)!!!
Dt 24,1 aveva però concesso ad Israele il divorzio: e sulla sua interpretazione si erano create, ai tempi di Gesù, due scuole: quella di Rabbi Shammai, che lo ammetteva solo in caso di adulterio, e quella di Rabbi Hillel, secondo cui motivo sufficiente per divorziare era che la moglie avesse… lasciato bruciare l’arrosto! I Farisei si avvicinano a Gesù per vedere da che parte sta, se ammette il divorzio solo in caso di adulterio come Rabbi Shammai o “per qualsiasi motivo” (Mt 19,3), come Rabbi Hillel. Ma Gesù spiazza tutti, affermando che il divorzio è stato concesso solo per la “miocardiosclerosi”, la “durezza del cuore” (Mc 10,5) di Israele, concetto equivalente all’ebraico “orlat lebab”, la chiusura dell’uomo al piano di Dio: e rimanda al progetto di Dio sul matrimonio enunciato proprio nel libro della Genesi, il cui nome ebraico è “Bereshit”, “In principio” (Mc 10, 6-9).
Solo nella meditazione della Scrittura possiamo trovare le radici della spiritualità matrimoniale, e questo sacramento ci apparirà non sterile normativa ma luminosa chiamata a quella santità, di cui parla la Lettera agli Ebrei nella seconda Lettura di oggi (Eb 2,9-11).