Domenica XXIII Anno B – Gesù Guarisce La Chiesa, Sorda E Balbuziente

Letture: Is 35,4-7; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

Partito da Cafarnao, Gesù si reca di nascosto in territorio pagano, forse per cercare un po’ di tranquillità (Mc 7,24-25): ma Isaia aveva preannunciato in linguaggio apocalittico che Tiro sarebbe stata visitata da Dio e avrebbe visto la salvezza (Is 23,17-18). Gesù, conscio di essere stato inviato solo alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 15,24; Mc 7,27), non predica. Però caccia i demoni (Mc 7,26-30) e guarisce i malati, porta cioè in opere concrete il Regno di Dio, come aveva profetizzato Isaia nella prima Lettura (Is 35,4-7), di quel Dio che “ha scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno”, come dice Giacomo nella seconda Lettura (Gc 2,1-5). Gesù così legittima così la successiva predicazione della Chiesa ai pagani e mostra ad essa come dovrà operare.

Nel Vangelo odierno Gesù guarisce un sordomuto con gesti da terapeuta: con quest’uomo sordo e muto, incapace di comunicazione verbale, Gesù entra in contatto attraverso la fisicità del portarlo in disparte, del mettergli le dita negli orecchi, del toccargli la lingua con la saliva (che secondo gli ebrei era lo spirito solidificato: Gv 9,6). Tali gesti sono liturgici, ripresi dal rito battesimale: ma ci dicono che Dio veramente viene a cercarci là dove noi siamo, entra in contatto con noi prendendoci per il nostro verso, dialogando secondo la nostra capacità di comprenderlo.

Al v.34 Gesù guarda verso il cielo: è atto di preghiera, secondo la tradizione popolare, per cui Dio sta “nei cieli” (Mt 6,1.9), ma è anche gesto di rivelazione che la sua potenza viene da Dio, da quel Dio che ormai in lui ha dischiuso i cieli (Mc 1,10): solo Stefano martire (At 7,56) e la Chiesa alla fine dei tempi (Ap 4,1, 19,11) potranno alzare gli occhi e vedere.

Poi Gesù sospira: è profonda partecipazione alla sorte del malato, è espressione del gemito della creazione, sottomessa alla caducità (Rm 8,22-27), ma è anche emissione dello Spirito, come sulla croce (Gv 19,30). Infine pronuncia il comando: “Effatà” (citato in lingua aramaica, come segno, per gli uditori di Marco, di una potenza misteriosa), e compie il miracolo. La folla acclama, secondo un inno liturgico, al v.37.

Alla fine della prima parte della “sezione dei pani” (Mc 6,30-8,26), Marco pone questo miracolo simbolico: un uomo “kophòs”, ottuso, sordo, e “moghilàlos”, balbuziente, incapace di parlare, viene guarito, come alla fine della seconda parte verrà guarito un cieco (Mc 8,22-26). È La Chiesa, che non ha capito il “discorso del pane”, che è incapace di ascoltare la Parola (e quindi di annunciarla), che non sa riconoscer il vero Pane, che ha bisogno di essere guarita. Occorre un intervento di Dio perché capiamo. È necessario il Battesimo, richiamato proprio in questo brano, dono di conversione e di guarigione, per capire l’Eucarestia.

La fede deriva dall’ascolto della Parola (Rm 10,17): solo se siamo capaci di accogliere l’Evangelo e di calarlo nelle profondità del nostro cuore, potrà “sciogliersi il nodo della nostra lingua e parleremo correttamente” (v. 35), diventando a nostra volta annunciatori del Regno. Tante volte invece parliamo, parliamo, abbiamo sempre una parola su tutto e per tutti: invece il credente è innanzitutto l’uomo dell’ascolto e della meditazione della Parola, come Maria, che “conservava nel suo cuore tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51). Solo dopo aver accolto, contemplato, “ruminato”, custodito la Scrittura, alla luce dello Spirito Santo, potremo annunciare al mondo non noi stessi, ma Dio solo!

I primi a cui Gesù apre le orecchie e scioglie la bocca sono i lontani, i pagani, quelli fuori della Terra Santa, anzi, “in disparte, lontano dalla folla” (v.33): che abbiamo sempre l’umiltà di non considerarci i depositari della verità, ma di metterci in fila anche noi davanti a lui, “pregandolo di imporci le mani” (v.32)!

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