
Dar da bere agli assetati
Dal sito dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della CEI, il commento alla seconda opera di misericordia corporale
(di don Tullio Proserpio, Cappellano Istituto Nazionale per lo Studio e la cura dei tumori di Milano)
Espressione che ben conosciamo in grado di esprimere invito concreto a farsi solidali rispetto a quanti vivono questo bisogno. Sentiamo richiamato il tema dell’acqua così come viene descritto nei Vangeli. Alcuni passi probabilmente li conosciamo: l’incontro di Gesù al pozzo con la Samaritana, quando stanco del viaggio, siede presso il pozzo (GV 4,6); Gesù appeso alla croce dice: «Ho sete» (GV 19,28); a Gesù appeso alla croce, vedendo che era già morto, uno dei suoi soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv, 19,34).
In particolare l’episodio della samaritana, mi sembra di che bisogno e sete grande di relazione vera e autentica.
In questo episodio, sia Gesù come la donna Samaritana, vanno al pozzo spinti dalla sete (in verità Gesù è stanco del viaggio, tuttavia quando arriva la donna Samaritana, chiede a lei: «dammi da bere».
Gesù osa mostrare il proprio bisogno, la propria impossibilità ad agire da solo, mostra la propria povertà.
Solo chi condivide la medesima condizione di povertà può realmente farsi vicino all’altro. Una reale condivisione di povertà può aprire lo spazio per una relazione vera e feconda, il cui esito non è garantito a nessuno e che tuttavia è custodita dal Signore.
E’ precisamente quanto è accaduto alla Samaritana al punto che dopo l’incontro con Gesù, riporta l’evangelista, «lasciò la brocca, andò in città…» (Gv 4,28).
Sembra quasi volerci dire cosa ha placato la sete di entrambi: l’incontro genuino e profondo, in altre parole proprio la relazione! Una relazione che proprio perché è autentica, ristora entrambi e dona energie nuove, il futuro è trasformato, rinasce la speranza: «che sia lui Messia?».
Un recente studio condotto presso l’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano (“La speranza dei malati oncologici: la centralità della relazione come aspetto cruciale”) pone decisamente in risalto la centralità della relazioni in grado di sostenere il percorso delle persone ammalate e alimentare vera speranza.
Quanti incontravano Gesù ed entravano in relazione con lui, ne uscivano come trasformati, quasi a dire che proprio l’incontro con Lui era in grado di sanare quanti si lasciavano incontrare da Lui. In qualche modo, sappiamo, si può dire che Cristo è il “farmaco” stesso in grado di portare refrigerio, pace e serenità al corpo e spesso all’anima delle persone.
La relazione non lascia mai neutri, in qualche modo compromette, forse questo uno dei motivi per cui si teme ad entrare nella relazione: so come entro nella relazione, non so come ne esco. Non si può sapere a priori cosa accade, non solo all’altro ma anche nel profondo di colui che si rende disponibile e incontrare la persona nel suo bisogno.
Lo studio a cui ho fatto cenno poco sopra ricorda che quanto più diventa affidabile colui che si rende disponibile all’incontro, al dialogo, tanto più cresce la speranza.
La fede cristiana ha a cuore la relazione: da persona persona persona; il Dio cristiano è il Dio persona. Ogni essere umano cerca e desidera relazioni così perché ogni essere umano è creato a immagine e assomiglianza di Dio e porta dentro di sé questa impronta che l’impronta stessa di Dio la cui essenza profonda relazione d’amore Padre – Figlio – Spirito Santo.
La relazione non la si possiede, la si vive. E’ un continuo divenire, è una realtà non statica ma dinamica.
Il bisogno di relazione esprime la nostra umanità più vera e autentica. Ed è proprio quanto ha vissuto Gesù nella sua esperienza umana: una quotidiana relazione con Dio Padre, così ben narrata dai Vangeli.
Credo tutti siamo sempre più consapevoli che oggi, al fondo, vi sia una profonda crisi in umanità. In questo possiamo intuire e riconoscere l’aspetto provvidenziale: quanti si professano credenti sono chiamati a veicolare questa immagine umana. Proprio sull’esempio di Gesù che – profondamente uomo – in tutte le sue dimensioni, affascinava i suoi interlocutori.
Un uomo così, pienamente e totalmente realizzato, in grado di farsi vicino all’altro, di condividere con l’altro di sentire, di con-soffrire con l’altro…, un uomo così non poteva che essere Dio.
Credo che proprio questo Volto di Dio siamo chiamati a testimoniare. Come singole persone facenti parte della Chiesa, sentiamo la responsabilità di non tradire quel Volto che ancora oggi affascina e attrae, anche tra quanti si dichiarano non credenti.
Un uomo che accoglie, non giudica, consola, piangere, ride, condivide con gli uomini e donne del suo tempo i momenti di gioia e quelli di tristezza. Senza mai essere ingenuo o sprovveduto: un uomo che placa l’arsura e l’ardente anelito del cuore di ogni uomo. È capace di arrabbiarsi eccome… – mai con il con il peccatore – si arrabbia davanti alla falsità e all’ipocrisia; si arrabbia quando c’è in gioco un valore, quando viene anteposta alla persona la regola la norma.
L’incontro con quanti a diverso titolo si trovano confrontati con situazioni di fatica, paura, angoscia, malattia, sofferenza, ecc., porta a riconoscere quanto grande sia l’attesa ancora oggi, l’attesa, talvolta la pretesa!, nei confronti della Chiesa e di quanti se ne dichiarano appartenenti.
Allora con stupore e gratitudine si scoprono come vere e sempre attuali le parole di Gesù: «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35).
Tutti comprendiamo che molto si “gioca” nella relazione, più o meno adeguata, che sappiamo instaurare con le persone che incontriamo. Veniamo pertanto interpellati rispetto a una preparazione che sia adeguata rispetto a quanto oggi viene richiesto: oltre che teorico-concettuale, soprattutto e primariamente umana!
Proprio perché inseriti nella complessità, occorre infine camminare realmente insieme, per favorire quell’alleanza che sola può esprimersi in servizio autentico a favore dell’intera collettività, nella consapevolezza che «non si spera mai da soli ma con gli altri e per gli altri».
Fonte
Immagine
- Illustrazione di suor Marie-Anastasia Carré (Communauté des Béatitudes)