Che cosa rende “speciale” una giornata normale? Stupirsi

Sì, stupirsi nel realizzare che ogni volta che vediamo un bambino, abbiamo la possibilità di guardare e vedere un miracolo che ci è dato di accarezzare ed abbracciare

Un miracolo che giorno dopo giorno cresce, diventando sempre più autonomo, ma non per questo senza la necessità di essere contenuto, incoraggiato e protetto per affrontare sfide e dolori quotidiani. È importante percepire di avere le spalle coperte per avventurarsi in una sfida, ma lo è ancora di più per permettersi di provare un dolore senza che questo devasti.

Quando un bambino manifesta dolore, ed il pianto è l’espressione più immediata che ha a disposizione, spesso la reazione dell’adulto è quella di negare o sminuire quel vissuto, ma questa reazione non fa altro che aggiungere il dolore del non essere ascoltato a quello che già prova.

Volutamente utilizzo solo la parola “dolore” anche quando non si tratta di dolore fisico ma psichico perché entrambi lacerano, tagliano come una lama, tolgono il fiato, ma per entrambi l’ascolto, il contenimento, la condivisione lo possono alleggerire.

Perché mi soffermo tanto a ragionare di dolore?

Credo che per ognuno di noi questo argomento scateni ricordi, sensazioni e vissuti che, in base all’elaborazione che siamo riusciti a mettere in atto, possiamo affrontarlo più o meno apertamente, ma quando ci troviamo di fronte ai nostri bambini abbiamo l’obbligo di ascoltarli, a maggior ragione  se la nostra professione ci porta anche ad infliggere loro qualche dolore.

Il dolore è un sintomo molto frequente durante una malattia e, in ambito pediatrico, è quello che maggiormente spaventa sia il bambino, sia i genitori, ma spesso anche noi professionisti.

Fino alla metà degli anni ’80 si pensava che il neonato e il bambino non provassero dolore a causa dell’immaturità delle vie neurofisiologiche e si era più propensi ad interpretare il pianto di un piccolo paziente come “paura del camice bianco”. La letteratura al riguardo era ancora scarsa e di conseguenza la pratica clinica quasi non prevedeva l’analgesia e la cura del dolore in età pediatrica.

Nel 1987, grazie ad un lavoro di K.J.S. Anand, si comincia a porre attenzione al dolore del bambino e oggi, grazie a studi anatomo-fisiologici e comportamentali, sappiamo che verso la fine del secondo trimestre di gestazione il sistema nervoso centrale è anatomicamente e funzionalmente competente per la nocicezione.

Sappiamo anche che, a parità di stimolo doloroso, il bambino percepisce un dolore più intenso rispetto all’adulto perché l’azione antalgica delle vie inibitorie discendenti è ridotta: questo determina una maggiore eccitabilità del sistema nocicettivo in toto. Quanto più giovane è la persona e quindi minore è l’inibizione centrale e periferica, tanto maggiore è la percezione del dolore.

Proprio dagli studi eseguiti, oggi possiamo affermare che l’esperienza dolorosa, provata durante il periodo neonatale e nell’infanzia, può determinare l’architettura definitiva del sistema algico dell’adulto. Non solo, anche il neonato pretermine ricorda il dolore perché la memoria si forma e si arricchisce in fasi molto precoci condizionando il percepito per tutta la vita. È vero che molti di questi ricordi sono inconsci, ma possono determinare disordini comportamentali e cognitivi.

Se, come è auspicabile che sia, si vuole trattare il dolore del bambino, è assolutamente necessario misurarlo mediante l’utilizzo di scale validate e scelte in base all’età del nostro piccolino. La misurazione permette di:

  • stabilire l’intensità del dolore nel momento in cui lo si misura;
  • valutare l’andamento del dolore nel tempo;
  • scegliere il tipo di analgesia più adatta;
  • verificare gli effetti del trattamento scelto;
  • utilizzare un linguaggio comune fra gli operatori sanitari.

Senza entrare nei dettagli della terapia farmacologica, di pertinenza medica, mi vorrei soffermare brevemente sulle tecniche non farmacologiche (TNF) perché molte di esse sono semplici da mettere in atto e possono aiutare a ridurre l’angoscia e la drammaticità della sensazione dolorosa e non solo del bambino. La scelta del tipo di tecnica dipende dall’età del bambino/neonato, dalla situazione clinica, dalla tipologia del dolore, dalla capacità e/o volontà di collaborazione del bambino, ma spesso l’approccio è multimodale.

Tecniche di Supporto/Relazione

Sono volte a promuovere supporto e sostegno sia al bambino, sia alla famiglia offrendo capacità relazionale, accoglienza e logistica adeguata.

Metodi Cognitivi/Comportamentali

L’obiettivo principale di questa metodica è di deviare l’attenzione dal dolore focalizzandola selettivamente su stimoli diversi o incompatibili con esso.

Rientrano in questi metodi:

  • distrazione;
  • bolle di sapone;
  • respirazione;
  • rilassamento;
  • visualizzazione;

Metodi Fisici

Hanno lo scopo di modificare e alterare soprattutto la dimensione sensoriale del dolore bloccando la trasmissione degli input nocicettivi lungo le vie nervose periferiche e centrali, modificando la ricezione degli impulsi nervosi o attivando meccanismi endogeni di soppressione del dolore.

Rientrano in questi metodi:

  • contatto corporeo;
  • impacchi caldi o freddi;
  • esercizi fisioterapici;
  • digitopressione nei punti dell’agopuntura.

Ora che, a grandi linee, ci siamo fatti un’idea di quella che è la tecnica per affrontare il problema dolore nel bambino, dobbiamo “spogliarci” di tale tecnica e metterci in gioco seriamente, correndo anche il rischio di non piacere ai nostri bambini, ma senza perdere l’occasione di “vederli” veramente.

A questo proposito, voglio raccontarvi una delle mie giornate “speciali”.

Ho la fortuna di coordinare il servizio di Day Surgery Multidisciplinare dell’Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino.

Questa Day Surgery nasce nel 2007, è dotata di 6 posti letto utilizzati da diverse specialità chirurgiche e vengono eseguiti circa 700 interventi l’anno.

L’organizzazione è su 5 giorni settimanali: 3 dedicati all’attività chirurgica e 2 ai prericoveri.

L’organigramma è composto da 1 responsabile medico, 2 infermiere e dalla scrivente coordinatrice infermieristica.

Veniamo ora alla parte interessante.

Lorenzo è un Patatino di quasi tre anni anzi, ‘due e un pochino’, come dice lui, capelli nerissimi, due occhioni grandi, profondi e disarmanti, un enorme e sempre presente ciuccio e due pollici inchiodati in flessione. Ovviamente, essendoci nato con questa anomalia, la sua capacità prensile si è adattata, ma per garantire un normale sviluppo delle mani, l’intervento chirurgico si rende necessario. Il chirurgo decide di operare prima una mano e, a distanza di un paio di mesi, anche l’altra.

Il primo contatto con i genitori avviene per telefono e, avvertendo un velo di preoccupazione nella voce della madre, circa il percorso che dovrà affrontare il piccolo, chiedo se preferiscono passare in reparto per avere le informazioni. Si decide di vederci ed io chiedo che portino anche Lorenzo.

Gli spazi in sanità sono importanti, ma non sempre nascono a misura di bambino, per cui a volte devi affidarti alla creatività e inventare. Per questo, quando si è presentata l’occasione di avere una Ferrari con seggiolino non ci ho pensato due volte e l’ho portata in reparto, pensando proprio ai piccoli pazienti che ci sarebbero potuti salire.

Il giorno del primo incontro arriva e, avendolo concordato in una giornata di prericovero, tutti i pazienti se ne erano già andati e questo ci ha dato l’opportunità di girare per il reparto senza troppe regole o rumori, ma solo ascoltando un po’ di musica proveniente dalle casse dell’impianto audio donatoci (su mia insistente richiesta) da un negozio di elettronica.

Intanto che spiegavo ai genitori cosa avremmo fatto nella mattina riservata alla preparazione, il prericovero appunto, Lorenzo, in braccio alla mamma, poteva sfogliare qualche libro per bambini trovato nella libreria di reparto ad uso dei pazienti e dei familiari presenti in reparto.

Dato che lui ed io dovevamo “innamorarci”, gli ho chiesto se voleva vedere il mio “garage”.

Superfluo dire che, come ha visto la Ferrari, l’amore è scoppiato!!!

Non solo ci è salito sopra, ma ha anche consegnato nelle mie mani il suo tesoro: il ciuccio.

Concordiamo l’appuntamento per la preparazione chiedendo ai genitori di portare, per quella mattina, alcuni giochi di Lorenzo per farlo sentire quasi a casa.

Nei bambini fino ai 12-13 anni è nostra abitudine applicare una crema anestetica, coperta con della pellicola trasparente adesiva, nella sede in cui sarà eseguita la venipuntura per il prelievo ematico, così anche a Lorenzo è stato riservato lo stesso trattamento chiedendo però l’aiuto della mamma. La capacità contenitiva e rassicurante della madre ha permesso di eseguire con facilità sia l’elettrocardiogramma, sia il prelievo.

Durante il colloquio per la raccolta dei dati anamnestici, Lorenzo ha potuto dare sfogo a tutte le sue capacità pittoriche. Devo dire che le interruzioni sono state numerose: del resto il “mamma ti pace (piace)?” o il “dada ti pace?” non potevano certo essere messi a silenzio.

Alla fine della mattinata i quadri di Lorenzo dovevano essere attaccati a qualche parete, per cui, mano nella mano come solo gli innamorati sanno fare, abbiamo scelto la “sua” camera e abbiamo sistemato le opere d’arte. Opere d’arte ritrovate il giorno del ricovero per l’intervento.

Quando, fra gli interventi della giornata abbiamo dei bambini, questi hanno la priorità sugli adulti, così appena arrivato in reparto Lorenzo è stato preparato e di nuovo abbiamo fatto applicare sul braccio la crema anestetica dalla mamma, che ormai era diventata un’esperta e si è anche meritata la spilla della spalmatrice ufficiale dell’anno, poi in braccio alla mamma e accompagnati anche dal papà, siamo andati in sala operatoria.

Il rientro dalla sala operatoria è sempre un momento delicato: va posta molta attenzione alla quantità di luce, ai rumori, agli scossoni. Le parole vanno sussurrate all’orecchio; i bambini, anche se ancora non parlano bene, ci sentono benissimo e cosa molto importante, si deve trattare e prevenire l’insorgenza del dolore post-operatorio. Dolore facile da gestire purché si voglia.

Ora i tempi si dilatano un poco; il mio Piccolo Guerriero dorme e continuerà a farlo fino a quando qualche bisogno primario non prenderà il sopravvento. I genitori sono stati molto bravi, si sono fidati e la fiducia è come traslata anche in Lorenzo.

L’unica raccomandazione che diamo ai genitori è di chiamarci se vedono segni di insofferenza che possono far pensare al sopraggiungere del dolore: non serve, è inutile sentirlo e, soprattutto, abbiamo i mezzi per evitarlo… almeno quello.

Nel tardo pomeriggio Lorenzo è pronto per tornare a casa con il suo enorme ciuccio, un braccio fasciato e, nell’altra mano, una spada di gommapiuma azzurra intagliata proprio per lui con i resti del packaging di uno strumentario di sala operatoria. Ogni guerriero che si rispetti deve avere la propria spada.

Ci salutiamo e lui mi lascia ancora un tesoro: i suoi quadri.

Dopo una quindicina di giorni la sorpresa e il regalo più gradito: con la spada azzurra tenuta con la mano operata e in braccio alla mamma, bussa al vetro della guardiola il mio Piccolo Guerriero, entra in reparto e per la prima volta mi corre incontro e mi abbraccia.

Tutto orgoglioso mostra i nuovi movimenti del suo pollice poi, ad un tratto, estrae dalla tasca un sacchetto: dentro c’è un braccialetto. È per me.

Lorenzo qualche settimana fa è tornato per eseguire l’intervento all’altra mano. Ora ha una nuova sorellina “piccola, piccolissima così”, un trenino di cui va fiero, ma sempre il suo enorme ciuccio e quei due grandi occhioni neri, profondi e disarmanti.

Questa, però, è un’altra storia, ma sempre “speciale”.

Bambini lo siamo stati tutti, l’infanzia è un momento unico, irripetibile, ma lo abbiamo dimenticato e spesso noi adulti facciamo di tutto per far crescere in fretta i nostri bambini, fingendo di metterli al centro dell’attenzione.

Ogni aspetto della vita del bambino ha un suo manuale e così pensiamo di sapere tutto di loro, ma è solo un esercizio di acquisizione di una tecnica che ci illude di sentirci potenti.

Se solo ci fermassimo ad ascoltare quello che un bambino vuole dirci, anche senza parole, potremmo scoprire che, a differenza dei grandi, i bambini parlano un linguaggio semplice, più immediato fatto di istinto e di emozioni. Imparando ad ascoltare potremo dar loro spazio affinché possano raccontarci le loro gioie, le loro fantasie, i loro desideri e i loro dolori.

Bibliografia

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Elisabetta Ercolani
Coordinatrice Infermieristica
Membro ASSD (Associazione Sammarinese per lo Studio del Dolore)
Membro IASP (International Association for the Study of Pain)

Fonte dell’articolo

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