Bisogno di Spiritualità
Riflessioni sulla Spiritualità alla Fine della Vita: Un Viaggio Intimo e Profondo Attraverso le Parole di Coloro che Accompagnano i Malati
“Caro Dio… mi chiamano Testa d’uovo, dimostro sette anni, vivo all’ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista…”
Con queste parole inizia il racconto degli ultimi giorni di vita di Oscar, un bambino di 10 anni affetto da leucemia, scritto dal filosofo e scrittore Eric-Emanuel Schmit nel suo libro “Oscar e la dama in rosa”[1] dove il piccolo protagonista, ci aiuta a riflettere su quel “bisogno di spiritualità” che, quando si va incontro con la malattia e/o quando la vita si fa breve, diventa forte.
Da una ricerca condotta dall’EAPC emerge che la spiritualità è l’aspetto dell’umanità che si riferisce al modo individuale di ricercare ed esprimere significati e scopi e ai modi in cui la propria esperienza li connette al momento, a se stessi, agli altri, alla natura, al sacro.
Come scrive Romano Madera in un articolo pubblicato sulla Rivista Italiana di Cure Palliative, “Il bisogno di riconciliarsi con la propria fragilità, con l’esistenza di un limite, con la consapevolezza dell’essere arrivato alla fine della propria vita fa nascere , anche nel laico, la necessità di un nuovo atteggiamento spirituale aperto a ogni declinazione che può favorire l’uscita dalla stretta angosciosa della malattia… senza per questo confondere tradizioni, sensibilità e concezioni ben distinte tra loro… Vale per credenti e atei, per chi confida in una vita ultraterrena e per chi crede solo nella vita terrena.”[2]
Se vogliamo, sin dal primo numero di Laborcare Journal, il tema della spiritualità alla fine della vita è stato trattato più volte ma è proprio per questo che abbiamo desiderato affrontare una tematica così delicata affidandoci alle “voci” di coloro che, quotidianamente, lavorano “stando accanto” alle persone ammalate o anziane.
Con questo numero “otto” desideriamo entrare, “in punta di piedi”, in un argomento così difficile e intimo quale quello della spiritualità che, come scrive Luciana Coèn (Spiritualità e prendersi cura) “… non è religione, appartenenza a un credo o fede religiosa (purtroppo luogo comune al giorno d’oggi) ma un sentire trasversale all’esistenza di ognuno, che può appartenere ad una religione ma che esiste, è percepita anche in una persona non appartenente ad alcuna religione.”
La scelta editoriale è stata quella, quindi, di evitare scritti “accademici” e “luoghi comuni” che, talvolta, rischiano di ridursi a dotta retorica e/o demagogia, sia religiosa che laica, per lasciare più spazio alla condivisione di un pensiero, di un momento di vita, di emozioni che possano aiutare il lettore a ritrovare, in questi, la propria spiritualità così come si legge nell’articolo di Sandro Spinsanti (Spiritualità e morte, in altre parole)“… il modo meno inadeguato per accostarsi a quell’ambito dell’esperienza umana che designiamo come ‘spiritualità’ è il ricorso alle metafore.”
Il “fine ultimo” di questo ottavo numero di Laborcare Journal lo troviamo nell’ultima parte del testo scritto da Raffaela Fonda (Esserci …) in cui si legge: “… l’accompagnamento spirituale costituito da tradizioni e riti è importante tanto quanto la terapia del dolore ed il controllo dei sintomi.; e, che significa, non voltare le spalle anche nei momenti più difficili ma rimanere presenti con atteggiamenti rispettosi, nel territorio del mistero e delle domande senza risposta”.
A conclusione di questo editoriale, ci piace riportare alcune definizioni di spiritualità che hanno dato illustri personaggi del nostro tempo: per K. Waajman “la spiritualità tocca il nucleo centrale della nostra esistenza umana: la nostra relazione con l’Assoluto e a questo problema, dell’esistenza o meno di un qualche Assoluto, sembra non sfuggire nessun uomo pensante”.
La spiritualità è categoria antropologica, oltre che filosofica, prima del significato cristiano, vi è quello umano che pone in risalto lo spirito come centro animatore di ogni persona umana.
Come afferma A. Amato “autocomprendendosi come spirito, l’uomo rivela la globalità del suo essere, armonizzando anima e corpo, interiorità e esteriorità, essere e agire.”
Per Enzo Bianchi “C’è posto anche per una spiritualità senza religione, senza Dio. È una spiritualità che si nutre dell’esperienza dell’interiorità, della ricerca del senso dell’esistenza, del confronto con la realtà della morte come parola originaria e con l’esperienza del limite; una spiritualità che conosce l’importanza della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare. È una spiritualità che si alimenta dell’alterità: va incontro agli altri e all’altro e resta aperta all’Altro se mai si rivelasse”.
Offrire un sostegno spirituale, secondo Ostaseski, significa “entrare in rapporto con la vita senza mediazioni, dare la possibilità di interrogarsi sui significati e i valori più profondi”.
[1] Eric-Emmanuel Schmit, “Oscar e la dama in rosa”, ed. Rizzoli
[2] Romano Madera, “La rivista italiana di cure palliative” (vol.14, n.2-2012)
Gianluca Favero
Mariella Orsi
Fonte dell’articolo
- Editoriale di Laborcare Journal n.8