B come bontà

Che lingua “parlano” i missionari? Il loro è un alfabeto di misericordia, con lettere che ridanno vita alle parole e generano opere

Leggendo la pagina del Vangelo di Matteo 11,25-30 (la bontà è nascosta spesso nelle persone semplici), mi è venuta in mente questa storia.

C’era una volta una donna vedova, di nome Naba.
Viveva in un piccolo villaggio, insieme all’unica figlia e a una capra. La vita scorreva serena.

Un lebbroso, suo vicino di capanna, era geloso di lei. Andò dal Re e gli disse: “La vecchia Naba, mia vicina di casa, è una donna pericolosa. È una strega. Molte persone, che sono morte in questi ultimi anni, sono state uccise da lei. Deve essere eliminata per il bene del villaggio”.

Il Re gli rispose: “Perché bisogna ucciderla? Si è sempre comportata bene e mi ha sempre obbedito”.
Allora il lebbroso gli disse di nuovo: “Da’ questo ordine a Naba: raccogli tutti i frutti della pianta di mango. Se non lo farà, dovrà morire”.

La povera Naba ricevette l’ordine del Re e cominciò ad avere paura.
La vecchia Kima stava passando per la strada e, vedendola, le disse: “Tu mi hai sempre accolto, soprattutto quando avevo fame. Mi hai dato da mangiare le banane del tuo campo. Non ti preoccupare. Ti aiuterò io”.

Il giorno dopo, il lebbroso ritornò dal Re e gli disse di nuovo: “Obbliga Naba a demolire la più grande capanna del villaggio. Se non lo farà, dovrà morire”.
Mchwa (vuol dire: colui che si riposa), che aveva sentito l’ordine del Re, andò da Naba e le disse: “Tu hai sempre trovato il tempo per ascoltarmi. Non ti preoccupare. Insieme ai miei amici, farò quello che il Re ti ha chiesto”.

Il lebbroso ormai stava perdendo la pazienza e si comportava veramente male davanti a Naba. Ogni animale del villaggio allora si ricordò di tutte le belle cose che lei aveva fatto e decise di aiutarla.

Mamba, il serpente nero, andò da Naba e le disse: “Tu lo sai che io ho mangiato la tua unica capra. Ora però sono pentito. Andrò a rapire la figlia del Re, quando lei andrà a fare il bagno al fiume. Tu allora dirai al Re, che se la vuole libera, dovrà darmi il fegato del lebbroso”.

Il Re fu subito d’accordo e il lebbroso morì. Ognuno vide dove stava la verità. “Dio infatti non ama le persone gelose, con il cuore sporco e la lingua avvelenata. Ma aiuta il povero che fa il bene”.

Quante volte, ascoltando o raccontando, in Africa, ho avuto il tempo di pensare e di riflettere su tante cose. È un po’ quello che faceva Gesù con le parabole.
Chi aveva il cuore aperto, capiva quello che Lui voleva dire. Altri invece pensavano che fosse solo un raccontino per far passare il tempo.

Ma, parlando di Bontà, ci sarebbero tante storie da raccontare, tanti momenti di vita vissuti insieme a tante persone.

Ho capito che è buono chi ha il cuore buono, chi pensa positivo, ci cerca di costruire, chi ha pazienza, chi ascolta, chi si mette al servizio degli altri senza aspettarsi il grazie.
È qualcosa che ho imparato dai miei genitori e poi, piano piano, ho cercato di viverlo in ogni luogo dove ho vissuto.

Non sempre è stato facile, anche perché qualcuno confondeva la bontà con il farsi mettere i piedi in testa, con l’essere poco furbo, con il farsi prendere in giro e sfruttare da chi cercava i suoi interessi.

Eppure, testardamente, ho ricominciato ogni volta, sopra tutto, dopo le delusioni.
Sono arrivato alla conclusione (parziale ancora), che ne vale ancora la pena.

Come diceva mio padre: vai a dormire alla sera con la coscienza a posto (questo deve essere il tuo cuscino). Certo, bisogna non solo essere buoni, ma anche aiutare gli altri a capire che anche loro lo possono essere.

Fonte

  • P. Oliviero Ferro

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